Nell’anno che è iniziato da poche settimane, ogni giorno, ogni italiano sprecherà più di ottanta grammi di cibo, totalizzando 566 grammi alla settimana nel 2024. Questa cifra si tradurrà in un costo di 290 euro annui per ogni nucleo familiare, con un impatto finanziario complessivo di 7 miliardi sulle famiglie e oltre 13 miliardi per l’intera filiera agroalimentare. Il recente rapporto dell‘Osservatorio Waste Watcher International rivela che lo spreco alimentare in Italia aumenterà dell’8% rispetto al 2023.
Le fasce deboli della popolazione sono responsabili della maggior parte degli sprechi, con un aumento annuale del 17%. Le ragioni economiche, come l’acquisto di prodotti vicini alla scadenza, sono particolarmente evidenti, soprattutto nel Mezzogiorno. Dopo anni di progressi nella riduzione degli sprechi, si osserva un preoccupante aumento dell’incidenza del rifiuto alimentare in Italia.
Secondo Waste Watcher, la situazione è così critica da essere considerata un “allarme sociale”, con oltre 5,7 milioni di italiani (il 10% della popolazione) affetti da “insicurezza alimentare”. L’inflazione continua a peggiorare la situazione.
Il consumo biologico è in diminuzione, con disparità territoriali evidenti. Le città e i grandi Comuni registrano un aumento degli sprechi (+8%), mentre i piccoli centri mostrano una riduzione. Le famiglie senza figli (+3%) e i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%) sono i principali spreconi. Nel Mezzogiorno si registra un aumento del 4% rispetto alla media nazionale nel gettare cibo, mentre nel Settentrione si registra una diminuzione del 6%.
La frutta fresca è la categoria più sprecona, con 25,4 grammi sprecati in media ogni settimana, seguita da cipolle, aglio, tuberi, pane fresco (20,1 grammi), insalate (13,8 grammi) e verdure (13,2 grammi).
Analizzando il Mezzogiorno, emerge che si spreca il 25% in più di insalate, il 24% in più di salse e sughi, il 24% in più di pizza e il 21% in più di pasta cruda, soprattutto tra le fasce più vulnerabili della popolazione. Allo stesso tempo, i ceti medio-bassi e popolari hanno ridotto del 30% gli acquisti di cibo in gastronomia, piatti d’asporto, colazioni fuori casa e pranzi al ristorante, sia per chi ha prole che per chi non ne ha.
Il direttore scientifico di Waste Watcher, Andrea Segrè, in una nota ha avvertito che la scelta di cibi scadenti, meno salutari e facilmente deteriorabili non solo contribuisce all’aumento dello spreco alimentare, ma impatta negativamente sulla dieta e sulla sicurezza alimentare, con conseguenze dirette sull’ambiente e sui conti pubblici attraverso un aumento della spesa sanitaria.
(a cura di Gaiazoe.life)