Negli ultimi anni, a New York, una nuova forma di shopping esperienziale ha iniziato a riscrivere le regole del consumo nel mondo della moda: il closet sale letteralmente la vendita dell’armadio, ovvero la vendita dell’armadio personale. Un fenomeno che unisce storytelling, sostenibilità e desiderio di unicità — e che ha ormai assunto proporzioni culturali.
Tutto è iniziato con eventi capaci di catalizzare l’attenzione dei media e dei fan come ad esempio la svendita dell’icona indie Chloë Sevigny nel 2023. Ma questo trend non riguarda più solo le celebrità. Influencer, stylist, podcaster, blogger, content creator, e persino ragazze della porta accanto stanno aprendo i propri armadi e mettendo in vendita pezzi unici. Ogni closet sale racconta una visione personale della moda e propone un’alternativa concreta all’omologazione degli algoritmi.
Più di un evento: un gesto culturale
Non si tratta solo di liberare spazio in casa, ma di prendere posizione. Sempre più brand e istituzioni, da eBay a Vogue, stanno sposando questo modello. Ad aprile, Vogue ha co-organizzato con eBay un closet sale a sostegno degli sforzi per il recupero dagli incendi a Los Angeles. Il valore, in questi eventi, non è solo economico ma narrativo, umano, relazionale.
Anche le piattaforme di resale stanno intercettando il trend: Vestiaire Collective e The RealReal collaborano con nomi iconici come Paris Hilton, Candace Bushnell e Kate Moss, utilizzando i closet sale come strumento per creare hype, generare traffico e promuovere la moda circolare.
Un altro modo di acquistare: curato, autentico, emozionale
Il closet sale è l’opposto dello shopping impersonale: è un rituale lento, quasi un gioco, che richiede impegno ma regala esperienze memorabili. Tuttavia il fenomeno è di per se portatore di desiderabilità e contemporaneamente di autenticità. In un’epoca di iperproduzione, dove siamo bombardati da stimoli all’acquisto di capi usa e getta, il closet sale rappresenta un atto di consapevolezza. Invita a fermarsi, a scegliere con cura, a cercare qualcosa che ci somigli davvero. E spesso, a prezzi più accessibili, in un contesto economico che spinge sempre più persone a trovare valore nella second-hand economy.
La moda che connette
In fondo, il successo del closet sale riflette un cambiamento più profondo: oggi non compriamo solo vestiti, ma compriamo storie, personalità, mondi. La curazione individuale batte l’omologazione degli algoritmi, e lo shopping diventa un momento di connessione – tra passato e presente, tra chi vende e chi compra, tra il bisogno di differenziarsi e il desiderio di appartenere.
Che si tratti di un evento glamour a Soho o di una piccola vendita nel cortile di casa, il closet sale è molto più di un trend: è un gesto di resistenza alla moda usa-e-getta, e un passo verso un consumo più consapevole, gioioso e personale.
E in Italia? Il fenomeno ha preso piede?
Tendenzialmente esistono nel nostro Paese i negozi di second hand ma anche chi organizza vendite private per addetti ai lavori, ma il fenomeno che si avvicina di più a quello del closet sale in Europa, rimane l’archivio. C’è chi vi attinge informazioni per poi creare nuove collezioni e chi inizia a usarlo come store vero e proprio in cui i clienti possono ritrovarsi e acquistare capi “vintage” forse, talvolta, persino second hand, ma con un approccio da veri intenditori che vanno alla ricerca della chicca.
(a cura di Gaiazoe.life)