Recycle/upcycle
Perché non smettiamo di produrre e non aggiustiamo ciò che esiste?
Questa è la domanda che continuo a farmi da molti anni. Abbiamo tanti di quei prodotti negli armadi, che il sistema economico dovrebbe cambiare definitivamente: smettere di essere basato sulla produzione usando risorse che vanno sempre più nella direzione riduzione e scomparsa dello sfruttamento delle materie che il Pianeta riesce ancora a darci per puntare esclusivamente su upcycling, recycling dei capi fashion.
Nel 2024 (fino al 2028) la previsione di richiesta di capi riciclati nel mercato del riciclo ammonta a 8 mila miliardi di dollari numero destinato a salire a 11 enro la fine del 2028. Questo dato fa capire chiaramente che esiste un mercato interessante per questo tipo di richiesta, ma soprattutto esiste la “materia prima” ovvero i capi non indossati che possono essere riciclati. E allora perché i grandi brand di fashion continuano a produrre nuovi capi invece che riciclare (o upcyclare) quelli esistenti?
Alla base del riciclaggio, chiaramente, esiste la tendenza più seria e disperata della nostra epoca: la sostenibilità. Non è il caso di spiegare, proprio qui la ragione di questa richiesta impellente, anche perché la conosciamo bene. L’industria della moda, insieme a quella degli allevamenti intensivi, è una di quelle che da anni danneggia di più il Pianeta, senza contare che è anche un’industria spesso ingiusta perché per soddisfare il piacere di pochi, si sfrutta il lavoro di molti, soprattutto nei Paesi meno sviluppati (ma non solo).
Ma perché le aziende non cambiano modello di business?
La domanda è volutamente ingenua, ma ha una base di verità. Perché la vera questione non ha a che fare con la ricerca di materiali sostenibili. Questa è la più grande illusione. Pensare di smettere di sfruttare una risorsa per incominciare a sfruttarne un’altra? Può essere veramente questa la soluzione? No, tra l’altro è ormai sotto gli occhi di tutti che il vero problema come ha spiegato anche la giornalista Naomi Klein nel libro World on fire ha a che fare con le politiche economiche: il capitalismo per dove si è spinto finora non ha nulla a condividere con la sostenibilità. Non solo: le politiche neoliberiste sono responsabili del trattamento ingiusto anche delle risorse umane e il fast fashion è il primo attore colpevole di tutto ciò ( ndr ma non illudiamoci perché non è che i grandi brand della moda siano esempi di virtuosismo).
Riduzione della produzione
Questa potrebbe essere una parziale soluzione, o meglio un elemento della transizione verso una nuova visione del business of fashion, ma nella realtà dei fatti quante aziende hanno ridotto, finora, la produzione di capi di abbigliamento?
I nomi, se si pensa alla vastità della produzione moda in tutto il Mondo, sono ridicolmente pochini: a parte Stella McCartney, Patagonia, Vivienne Westwood (la cui fondatrice lo evangelizzava anche quando era in vita: Buy less, buy better, a cui deve aver fatto seguire anche produce less), Reformation, Veja, tutti gli altri bran noti, poco stanno facendo da questo punto di vista. Cambiare modello di business richiede cultura, soldi e tempo.
Quest’ultimo, forse, è quello che manca di più.
(a cura di Viviana Musumeci, founder Gaiazoe.life)