Avete mai parlato con dei ventenni cinesi che vengono a studiare in Italia lasciando per qualche tempo il proprio Paese di origine? A me è capitato, visto che insegno a studenti italiani e stranieri da più di 11 anni e la cosa che mi ha sempre colpita in termini culturali, laddove la cultura è intrisa di cultura di massa è lo sguardo interrogativo che si stampa sui loro volti, quando si chiede loro cosa sanno dell‘eccidio di Tienanmen. Perché solitamente non rispondono. Qualcuno dice di non sapere proprio di cosa si parli, altri vagano con lo sguardo e cercano di cambiare discorso per cui non è chiaro se il Governo Cinese (ndr ma magari chi vive in Cina può dirlo chiaramente) abbia cambiato i libri scolastici fino a fare scomparire, con una classica opera di propaganda, l’evento, che quindi non viene studiato e per questo dimenticato, oppure se sia ancora argomento tabù (come si potrebbe facilmente dedurre dalla volontà manifestata di recente di eliminare anche la statua Pillar of shame dell’università di Hong Kong che rappresentava la repressione dei giovani in quella piazza avvenuta nel 1989).
Ecco, la propaganda e il tentativo di mettere a tacere le opinioni discordanti con la narrazione principale filogovernativa è il tema principale che emerge dalla mostra dell’artista dissidente Badiucao “La Cina non è vicina” inaugurata la scorsa settimana a Brescia presso il Museo di Santa Giulia (la mostra è aperta fino al 13 febbraio 2022 e l’ingresso sarà gratuito fino al 28 novembre.
La mostra, tanto per intenderci, è stata a lungo osteggiata dall’Ambasciata cinese in Italia poiché Badiucao è un artista e fumettista che da anni vive esule dal proprio Paese in Australia proprio per la sua arte provocatoria e accusatoria nei riguardi del regime comunista. Del resto, il suo è un nom de plume proprio per proteggersi e continuare a lavorare in tutto il mondo.
La mostra di Badiucao a Brescia
Il percorso che si dipana fin dall’inizio mostra le opere principali di un giovane artista (Badiucao è nel 1986) che contesta tutto, soprattutto i metodi e la censura cinese usando il linguaggio pop della cultura propagandistica stessa, creando un character assassination (modo di dire salito alle cronache di recente in Italia) nei riguardi degli attuali membri del regime, ma anche deridendo la cultura maoista di cui qualche meme è giunto fino ai giorni nostri.
Una sezione è dedicata alle menzogne propagandistiche messe in atto per rendere le prossime Olimpiadi invernali un successo e rassicurare ancora oggi chi raggiungerà il Paese, dopo due anni di lockdown e un’altra al trattamento riservato alla città di Hong Kong dove gli studenti, ma anche i lavoratori stanno manifestando contro il Governo Cinese da qualche anno.
Straziante la sezione No I Can’t, No I don’t understand, dedicata alla memoria del Dr Li, il medico cinese di Wuhan che per primo denunciò il rischio della pandemia e che fu obbligato a ritrattare le proprie dichiarazioni, per poi morire di Covid.
Insomma, la mostra di Badiucao non è un evento contro i cinesi, bensì contro quella parte di cultura che ha condotto questo Paese dove si trova oggi con tutte le sue contraddizioni note, ma di cui si parla sempre poco, anche per i legami che i nostri Paesi hanno da un punto di vista economico proprio con l Governo cinese.
Sicuramente è da andare a vedere perché umanamente sostenibile
(a cura di Gaiazoe)