Una degli elementi che viene spesso messo in evidenza, quando si tratta di moda sostenibile è la tracciabilità reale, concreta e completa di tutti i passaggi relativi alla lavorazione dei capi. La vera sostenibilità, sostiene qualcuno, sta nei fari passaggi della supply chain. Tutto il resto è greenwashing.
Secondo un recente studio di McKinsey & Company i consumatori denunciano un aumento della sfiducia nei riguardi dei brand di moda e per questo chiedeono una maggiore trasparenza nell’ambito della sostenibilità. Alcuni brand, in realtà, già lo fanno, ma la verità è che sono sempre gli stessi nomi che girano: Veja, Ecoalf, Everlane, tanto per fare alcuni nomi. Eppure la trasparenza completa non è uno step facile da attuare.
Quali sono le difficoltà per attuare la trasparenza per i brand di moda?
Innanzitutto è un dato assodato che la trasparenza comporti maggiori oneri per le aziende. Purtroppo non siamo ancora in una economia di scala e per questa ragione filiere più grandi implicano necessariamente anche maggiori complessità (e responsabilità) che porta con sé costi più elevati. Non solo: se un tempo indicare informazioni relative alla produzione dei prodotti veniva considerato un atto straordinario da parte delle aziende della moda, oggi i consumatori sono più esigenti e non si limitano a questo: chiedono che le aziende siano più all’avanguardia anche in questo ambito e che padroneggino gli strumenti della contabilità ambientale.
Infine, l’opinione pubblica è maggiormente preparata, attenta e in grado di commentare le azioni delle aziende, grazie, ad esempio, ai social, per questa ragione c’è anche un maggiore rischio da parte delle aziende di finire nel mirino dell’opinione pubblica e non in maniera positiva.
La trasparenza nella moda, dunque, è indubbiamente sempre di più una necessità, tuttavia le criticità ancora esistenti rendono questo passaggio ancora molto complesso.
(a cura di Viviana Musumeci founder di Gaiazoe.life)