L’industria della moda, come molte altre, continua a operare in un sistema dove inquinare non costa nulla. Nonostante le crescenti pressioni sociali e ambientali, la mancanza di reali penalizzazioni per l’impatto ambientale fa sì che le aziende continuino a dare priorità ai profitti rispetto alla sostenibilità.
Secondo il consueto sondaggio realizzato da BoF e McKinsey State of Fashion, la sostenibilità non è più tra le cinque principali preoccupazioni dei dirigenti del settore moda. Questo cambiamento nelle priorità è sorprendente, soprattutto alla luce dei sempre più frequenti eventi climatici estremi, che colpiscono duramente un’industria con una catena di fornitura globalizzata, spesso situata in aree altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.
Nonostante in passato la sostenibilità fosse considerata una questione critica, l’industria, secondo un articolo uscito di recente su Bof, ha ben poco da mostrare in termini di azioni concrete. Il motivo è semplice: mentre mancare gli obiettivi climatici non ha conseguenze immediate, non raggiungere i target finanziari può costare il posto ai dirigenti.
Soluzioni che restano solo sulla carta
Il settore ha adottato obiettivi di sostenibilità ambiziosi, ma spesso irrealistici. Molti brand si concentrano su materiali “green”, come il cotone biologico o il poliestere riciclato, che rappresentano solo una piccola parte del problema. Infatti, meno del 15% delle emissioni dell’industria deriva dalle materie prime, secondo uno studio della società di consulenza sostenibile Quantis. La maggior parte delle emissioni è invece legata a processi come tintura, lavaggio, stiratura e finissaggio.
La realtà è che è più facile e redditizio parlare di innovazione nei materiali che affrontare il lavoro complesso e costoso di decarbonizzare l’intera catena di approvvigionamento. Le soluzioni per ridurre l’inquinamento esistono, ma richiedono investimenti e, soprattutto, una ridefinizione delle priorità aziendali.
Soluzioni concrete per far pagare chi inquina
Sebbene il problema sia complesso, ci sono strade percorribili per ridurre significativamente l’impatto ambientale della moda, secondo quanto evidenziato da Bof:
- Contratti a lungo termine: Attualmente, i brand comunicano ordini ai fornitori con un preavviso di soli 90 giorni, rendendo difficile per questi ultimi pianificare investimenti in tecnologie sostenibili. Offrire contratti di uno o due anni garantirebbe stabilità, incentivando i fornitori a effettuare cambiamenti strutturali e a lungo termine. I brand potrebbero anche finanziare questi investimenti, recuperando i costi attraverso sconti sugli ordini futuri.
- Miglior contabilizzazione del carbonio: Gran parte delle emissioni avviene nei processi tessili, dove i brand spesso non hanno rapporti diretti con i fornitori. Questa mancanza di connessione scoraggia investimenti condivisi, poiché i benefici si ripartirebbero anche tra i concorrenti. La creazione di mercati del carbonio più efficaci potrebbe incentivare le aziende a finanziare soluzioni per ridurre le emissioni.
- Tassare chi inquina: Una tassa sui capi prodotti potrebbe raccogliere fondi per finanziare la transizione verso tecnologie meno inquinanti. Ad esempio, un’imposta di 1 dollaro per capo potrebbe essere utilizzata dai paesi produttori per sostenere i fornitori. Questo approccio richiederebbe un coordinamento globale per essere efficace, ma non è impossibile: la Danimarca ha recentemente introdotto una tassa sulle emissioni di metano provenienti dal bestiame.
L’urgenza di cambiare
L’assenza di costi per l’inquinamento ha reso la moda un’industria riluttante al cambiamento. Tuttavia, ignorare l’impatto ambientale non è sostenibile nel lungo termine. Far pagare chi inquina è una soluzione praticabile e giusta, che potrebbe finalmente spingere le aziende a intraprendere azioni concrete per ridurre le proprie emissioni. Le soluzioni esistono. Ora è il momento di implementarle, perché il prezzo che stiamo pagando non è solo ambientale, ma anche sociale e umano.
(a cura di Gaiazoe.life)