Due donne e molte voci che si rincorrono in un romanzo al femminile virante al nero come nella migliore tradizione di George Simenon: è “Marie la Strabica”, edito da Adelphi, capace di esplorare
gli abissi di un’amicizia al femminile fatale e, a suo modo, terribile.
Nessuno come lo scrittore francese sa tratteggiare la psiche femminile più buia e torbida, nascosta nell’animo di due ragazze della provincia più povera, cameriere in una piccola pensione sul mare e
mosse da intenzioni totalmente agli antipodi: Sylvie è bionda, bella e formosa, non conosce il pudore ed è pronta a qualsiasi cosa pur di togliersi dalla miseria a cui sembra condannata. L’altra,
Marie, è piccola, scialba e strabica, terrorizzata dal mondo e dal sesso ma ossessionata dall’amica che odia ma della quale subisce il fascino in maniera perversa. Un azzardo e una vittima – ma
non sono forse legati? – spingono le ragazze a Parigi, città in cui successo e solitudine si intrecciano a quel legame tra le due, presto destinato a scoppiare. Ma non per sempre.
Tra tradimenti e silenzi, nulla è come sembra e le carte si scoprono solo alla fine di un romanzo che avvolge il lettore con i conosciuti – e amatissimi – giochi narrativi di Simenon fino a confonderlo nella scelta di decidere quale delle due donne domina l’altra: chi è la vittima e chi è
davvero il carnefice? Uno stile fluido segue due personaggi che, al netto del loro poco spessore e della mediocrità che li caratterizza – dove l’ossessione del fallimento diventa, al contempo, spinta all’azione e giustificazione dello status quo – scrivono la loro la storia facendosi, contro ogni previsione, vittime di passioni estreme e di atti violenti. “Marie la strabica” si legge con un piacere raffinato e morboso insieme che permette di esaltare una volta di più l’estrema maestria dello scrittore francese nel tratteggiare una commedia novecentesca i cui protagonisti sono ambigui, insinuanti, a tratti fastidiosi, ma sempre terribilmente umani. (Ursula Beretta)