Negli ultimi anni abbiamo vissuto in prima persona l’impatto tangibile del cambiamento climatico. La scorsa estate, ad esempio, mi trovavo in vacanza all’Isola d’Elba e per la prima volta ho dovuto rinunciare alla sessione pomeridiana in spiaggia: il caldo era eccessivo e anche l’acqua del mare, ormai simile a un brodo, non offriva alcun sollievo. A marzo 2024, a Milano, ho rischiato di trovarmi in un sottopassaggio allagato alla stazione di Porta Garibaldi, dove le piogge torrenziali hanno inondato l’area pochi minuti dopo il mio passaggio. Sempre nel 2024, a maggio, un tornado si è abbattuto a Lecco, sul Lago di Como, spazzando via tutto e portando addirittura un ombrello in cielo, superando la barriera delle montagne. Eventi come questi dimostrano che non esistono più certezze:
il cambiamento climatico è una realtà, qui e ora, ovunque.
In Italia, chi vive in Emilia-Romagna affronta il rischio di allagamenti, mentre in Sicilia il problema principale è la desertificazione. Qui, la morte del bestiame e la mancanza d’acqua costringono le persone ad acquistare risorse idriche da fornitori privati, mentre le infrastrutture pubbliche, inefficaci e obsolete, continuano a fallire nonostante le tasse pagate. A livello globale, nei Paesi dove la moda si produce quotidianamente, come il Bangladesh e l’India, il caldo è diventato una costante insopportabile. Qui scuole chiuse, lavoratori malati, macchinari sotto pressione e blackout elettrici stanno mettendo in ginocchio la produzione, rallentando le tempistiche già stressanti imposte dalle collezioni di moda.
Tiepide azioni dei grandi gruppi
Qualche gruppo leader, come Kering e LVMH, ha iniziato a riconoscere il problema, segnalando nei propri documenti regolatori come le temperature sempre più alte possano compromettere l’accesso a materie prime chiave come pelle e cotone. Questo scenario include la morte del bestiame e il disseccamento delle colture, mentre inverni sempre più miti rendono alcune categorie di prodotti, come i piumini, un’incognita per il futuro.
Secondo un rapporto di BCG e del World Economic Forum dal 2000, i disastri climatici hanno causato quasi 4 trilioni di dollari di danni economici. Se le temperature continueranno a salire, il PIL globale potrebbe ridursi fino al 22% entro la fine del secolo. I principali centri di produzione della moda, come Bangladesh, Cambogia, Vietnam e Pakistan, rischiano un calo delle esportazioni superiore al 20% entro la fine del decennio.
La moda balla sul Titanic
In Europa la questione clima viene presa maggiormente sul serio rispetto ad altri Paesi: nuove normative europee obbligheranno i marchi a pubblicare dati sull’impatto ambientale e sull’esposizione ai rischi climatici. Tuttavia, nonostante la morte di bestiami, animali e persino persone a causa del caldo torrido, per la maggior parte del mondo della moda la questione sembra ancora estremamente lontana e distante dimenticando che, se la moda si deve vendere, ci devono essere ancora i clienti per poterla acquistare. Cosa che, per come si stanno evolvendo i fatti, non è da dare per scontata.
(a cura di Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life)