Un episodio scioccante ha scosso il Policlinico Tor Vergata di Roma nei giorni scorsi, dove il professor Giuseppe Sica, ordinario di chirurgia mini-invasiva, è accusato di aver colpito con un pugno la sua assistente storica durante un intervento chirurgico. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, la Regione Lazio, guidata da Francesco Rocca, starebbe valutando il licenziamento come sanzione definitiva, giudicando l’aggressione fisica sul luogo di lavoro una giusta causa. La cosa più scioccante, però, è stata la giustificazione addotta dal medico per motivare il suo scatto violento che, grosso modo ha detto:” I toni usati sono stati eccessivi e dettati da uno stato di forte tensione e stress emotivo. La sala operatoria è il fronte dove si combatte davvero tra la vita e la morte” che suona un po’ come “è colpa sua se mi sono arrabbiato”, frase tipica di una certa mascolinità tossica. Inoltre, bisogna considerare che anche tra i medici si può sviluppare un clima di lavoro insostenibile, causando stress e malessere.
Quando l’ospedale diventa un luogo tossico: l’aggressività di alcuni medici
Queste dinamiche possono creare un circolo vizioso, in cui i medici, sottoposti a pressioni costanti, reagiscono con aggressività, aggravando ulteriormente il problema e danneggiando la loro capacità di curare i pazienti in modo efficace.
Gli ospedali dovrebbero essere i luoghi dove si vive la cura nel senso più profondo del termine: accoglienza, ascolto, protezione. Eppure, non di rado, emergono dinamiche che tradiscono questo ideale. Sempre più spesso assistiamo a comportamenti aggressivi da parte di alcuni medici, che sfociano in atteggiamenti verbalmente offensivi, intimidatori o prevaricatori nei confronti dei pazienti o persino dei colleghi. Questo accade perché, purtroppo, il ruolo medico è ancora oggi circondato da un’aura di inviolabilità che permette a certi professionisti di agire senza confronto, quasi sopra le regole e al di fuori di ogni responsabilità sociale. È un problema strutturale che affonda le sue radici in una cultura gerarchica rigida, che premia il potere e la posizione più del rispetto e della collaborazione.
Questo atteggiamento non solo danneggia chi ne è direttamente vittima, ma crea un clima di paura e insicurezza all’interno di tutto il reparto, influenzando negativamente la qualità delle cure e il benessere di tutti. Quando l’aggressività diventa una “norma”, chi dovrebbe essere tutelato si ritrova invece a subire ulteriori traumi, e l’ambiente di lavoro si trasforma in un terreno difficile, se non ostile.
La violenza ostetrica: una cultura da cambiare
Tra le forme più drammatiche di abuso di potere nel contesto sanitario c’è la violenza ginecologica e ostetrica. Per anni questa violenza è stata silenziata, invisibilizzata o addirittura giustificata come “normale” o “necessaria” alla buona riuscita di un parto o di un intervento medico. Donne che si sono trovate a vivere momenti di grande fragilità e vulnerabilità sono state spesso trattate con durezza, ignorando il loro consenso o la loro sofferenza psicologica. Pratiche invasive, mancanza di spiegazioni, commenti svalutanti sul loro corpo o sulle loro emozioni hanno rappresentato una forma di violenza istituzionalizzata, radicata nelle abitudini di medici e ostetriche.
Solo di recente questo fenomeno ha iniziato a essere riconosciuto come tale, grazie a un lavoro coraggioso di sensibilizzazione portato avanti da associazioni, attiviste e vittime che hanno rotto il silenzio. La presa di coscienza collettiva sta finalmente trasformando la violenza ostetrica da una cultura tacita a un tema di dibattito pubblico, con l’obiettivo di costruire pratiche mediche più rispettose, partecipative e umane. Questo cambiamento è fondamentale non solo per le donne che attraversano l’esperienza della nascita, ma per tutta la società, perché mette in discussione modelli di potere e controllo che si riflettono anche in altri ambiti della sanità.
Lo stress che si propaga: l’effetto a catena sull’equipe sanitaria
L’ospedale è un organismo complesso, in cui il benessere di ogni singolo operatore ha un impatto diretto su tutto il sistema. Quando un medico si comporta in modo aggressivo nei confronti di un infermiere o di un collega, il danno va ben oltre l’insulto o la tensione momentanea. Prendiamo ad esempio il caso dell’infermiera all’ospedale Tor Vergata, verbalmente aggredita davanti a tutti da un medico: quale serenità o concentrazione può portare con sé tornando in sala operatoria? Quale energia resta dopo aver subito umiliazioni in un ambiente dove la precisione e la calma sono vitali?
Lo stress accumulato si trasforma in un circolo vizioso che coinvolge tutto il personale: chi è vittima si trova a sua volta sotto pressione, fatica a lavorare in modo sereno, e questo si riflette nelle cure che i pazienti ricevono. Un ambiente lavorativo carico di tensioni e paure può provocare episodi di burnout, errori medici, un calo generale della qualità della sanità. In questo modo, l’aggressività di pochi produce un danno collettivo che nessuno può permettersi di ignorare.
Ospedali sani per cure migliori: il ruolo delle amministrazioni
Per spezzare questo circolo tossico serve un cambiamento sistemico e consapevole. Le amministrazioni sanitarie hanno il compito cruciale di costruire ambienti di lavoro sani, sicuri e rispettosi per tutti gli operatori. Non basta più garantire solo le risorse tecniche o la dotazione di strumenti medici: bisogna investire nella salute mentale e nel benessere psichico di chi ogni giorno affronta situazioni di grande pressione.
Programmi di supporto psicologico, corsi di formazione sulla comunicazione empatica, gestione dello stress e risoluzione dei conflitti possono fare una grande differenza. Ma non solo: l’integrazione di pratiche come lo yoga, la meditazione e la mindfulness sta dimostrando di essere un aiuto concreto per ridurre l’ansia, migliorare la concentrazione e favorire un clima lavorativo più sereno e collaborativo. Sono strumenti preziosi per restituire agli operatori sanitari quella calma interiore che permette di prendersi cura degli altri al meglio.
Verso un futuro più umano nella sanità
Il vero cambiamento passa dalla volontà di umanizzare la medicina, riportandola al suo cuore pulsante: la cura dell’essere umano, nella sua interezza e complessità. Non si tratta di indebolire il ruolo del medico o di cancellare le gerarchie necessarie, ma di riformulare il concetto stesso di leadership e autorità nel campo sanitario. Il potere deve diventare responsabilità, e il rispetto la base di ogni relazione, sia con il paziente che con i colleghi.
Solo creando ospedali in cui il rispetto, l’ascolto e il benessere siano la norma, potremo garantire una qualità delle cure realmente efficace e sostenibile. Perché chi cura deve essere a sua volta curato, protetto e valorizzato. E in questo sta la vera rivoluzione della sanità, una rivoluzione fatta di empatia, consapevolezza e attenzione al benessere collettivo.
(a cura di Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life)