In un’epoca in cui la moda spesso rincorre l’effimero, Franco Gabbrielli sceglie di rallentare. E lo fa fondando RERERI, un brand nato non da un’esigenza di mercato, ma da un’urgenza interiore: recuperare il senso profondo del “produrre con coscienza”. Dietro a ogni borsa, a ogni materiale selezionato, c’è una filosofia che intreccia estetica, responsabilità e visione sistemica. In questa intervista, Gabbrielli ci racconta la genesi e l’identità di RERERI — acronimo di Recupero, Responsabile, Rivoluzionario — rivelandoci come il design sostenibile possa trasformarsi in un gesto culturale capace di cambiare non solo il modo di consumare, ma anche il modo di pensare la bellezza.

Recupero, Responsabile, Rivoluzionario
Come e quando ha deciso di creare il brand RERERI?
RERERI nasce nel 2024 da un’urgenza interiore, quasi etica, di rimettere al centro della moda l’atto del “fare bene”. Dopo decenni di esperienza nella pelletteria di alta gamma, ho sentito il bisogno di fondare un progetto che non fosse solo espressione estetica, ma anche gesto culturale e responsabilità sociale.
Un momento chiave è stata la visione del documentario Buy Now su Netflix: un’opera che ha acceso definitivamente la consapevolezza della necessità di adottare sistemi produttivi a minor impatto ambientale, più giusti e lungimiranti.
RERERI è l’acronimo di Recupero, Responsabile, Rivoluzionario — tre parole che raccontano la nostra genesi e la nostra missione.
Qual è la visione di RERERI in merito alla sostenibilità nel settore moda e come si traduce nella vostra identità di brand?
Per noi la sostenibilità non è un comparto della produzione, ma l’ossatura stessa del brand. Significa operare ogni scelta — dal design alla comunicazione — secondo una logica sistemica che coniughi rispetto ambientale, giustizia sociale e rigore estetico.
La nostra identità si fonda su un principio semplice ma potente: non c’è bellezza che valga, se è ottenuta a spese del pianeta o delle persone.
Quali materiali utilizzate nelle vostre collezioni e come li selezionate?
Utilizziamo esclusivamente pellami di altissima qualità provenienti da scarti selezionati negli archivi dei più importanti brand del lusso. Ogni materiale viene scelto con cura maniacale: analizziamo la provenienza, le caratteristiche tattili e la tenuta nel tempo. Lavoriamo su ciò che già esiste, in un processo che non è solo sostenibile, ma profondamente creativo.

La tracciabilità è una cosa seria
La tracciabilità è un tema sempre più importante: come garantite la trasparenza nella filiera produttiva?
Tutta la nostra filiera è locale, tracciabile e visibile: ogni borsa RERERI viene realizzata interamente in-store o nei nostri laboratori toscani, in collaborazione con artigiani noti e selezionati. Collaboriamo inoltre con Zerow, una realtà che condivide con noi valori fondamentali come il riuso intelligente, l’estetica sostenibile e la creazione di reti virtuose tra designer, artisti e artigiani. Siamo trasparenti per scelta e per coerenza, convinti che la fiducia del cliente si costruisca anche raccontando cosa c’è dietro ogni cucitura.
La sostenibilità è anche sociale: come scegliete i vostri fornitori e collaboratori in termini di etica del lavoro?
Collaboriamo esclusivamente con realtà che condividono i nostri valori etici. Privilegiamo filiere corte e artigiani indipendenti, dove le condizioni di lavoro siano dignitose, inclusive e rispettose del valore umano.
Un esempio emblematico di questa visione è la collaborazione con Pierotucci, storico pellettiere fiorentino che da generazioni rappresenta l’eccellenza artigianale del territorio. Con Matteo e Marco Tucci, portatori di una visione imprenditoriale attenta all’innovazione e alla sostenibilità, abbiamo costruito non solo un rapporto professionale, ma una vera alleanza culturale.
Il nostro primo punto vendita, ospitato proprio all’interno della boutique Pierotucci in via dei Gondi 4/6R, nel cuore di Firenze, è un luogo simbolico: un crocevia tra tradizione e futuro, dove il saper fare toscano incontra la nostra visione di moda responsabile e partecipata
In che modo RERERI riduce l’impatto ambientale durante le fasi di produzione, packaging e distribuzione?
Il nostro approccio è minimalista e circolare. Produciamo solo su richiesta o in quantità limitate, evitando surplus e sprechi. Il packaging è interamente realizzato con tessuti recuperati, scelti per bellezza, consistenza e unicità. Anche la distribuzione predilige canali diretti e locali, per abbattere l’impronta logistica.

Recuperare i prodotti dai clienti
Avete avviato iniziative di economia circolare, come il riciclo, il riuso o programmi di riparazione dei capi?
Sì, il cuore del nostro progetto è intrinsecamente circolare. Ogni borsa è il frutto di un processo di recupero e reinvenzione. Stiamo inoltre approntando una strategia di fine uso: intendiamo recuperare i prodotti direttamente dai nostri clienti e reinserirli nel ciclo di vita, attraverso la rivendita come usato certificato o la rigenerazione creativa. Essendo un oggetto modulare, la borsa RERERI si presta perfettamente a essere smontata, riadattata e riutilizzata, prolungando la propria esistenza e moltiplicando il proprio valore.
Come comunicate ai clienti il valore della sostenibilità e li educate a un consumo più consapevole?
Non imponiamo verità: invitiamo a riflettere. Ogni momento di acquisto da RERERI è un’esperienza di storytelling, in cui il cliente è guidato a conoscere materiali, processi e impatto ambientale. Ma soprattutto, nel rapporto diretto con il nostro design assistant in negozio, si attiva un processo di co-creazione e fiducia: è in quel dialogo che passano, in modo naturale, i nostri valori più profondi. Anche i nostri contenuti digitali sono pensati per stimolare una nuova consapevolezza culturale del “possedere meno, ma meglio”.

Il design sostenibile è bello, non solo etico
Quali sono le sfide principali che incontrate nell’essere un brand etico e sostenibile oggi?
La sfida più grande è culturale: proporre un lusso responsabile in un mercato ancora dominato dalla velocità e dalla sovrapproduzione richiede pazienza, educazione e coerenza. Un’altra sfida è mantenere accessibile un prodotto realizzato con processi virtuosi e non industriali, senza tradire la qualità né i valori fondanti.
Pensate che il design sostenibile possa influenzare positivamente l’estetica e la creatività dei vostri capi?
Assolutamente sì. La limitazione è madre dell’invenzione. Lavorare con materiali disponibili, unici, a volte imprevedibili, ci costringe a ripensare il design come atto adattivo e poetico.
Ma soprattutto, essere co-creativi con il cliente, coinvolgerlo attivamente nella progettazione della sua borsa, ci permette di generare un oggetto che riflette davvero chi lo indossa — unico, personale, autentico.
Quali obiettivi di sostenibilità avete per il futuro e come intendete misurarne l’efficacia?
Puntiamo a formalizzare un sistema di metriche interno che ci consenta di misurare impatto ambientale, sociale e culturale.
L’obiettivo non è solo “fare meno male”, ma generare un impatto positivo nella comunità, nel territorio e nell’immaginario collettivo.
Ci piacerebbe, inoltre, che i concetti di recupero e Made in Store potessero estendersi ad altri oggetti e filiere, dando vita a store condivisi dove il design sostenibile si declini in molteplici forme, sotto un’unica insegna valoriale.
(intervista a cura di Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life)