Dietro ogni abito firmato da Nicoletta Fasani si intrecciano storie di passione, consapevolezza e innovazione. Filosofa di formazione, artigiana per vocazione, dal 2010 costruisce il suo brand sartoriale sulla ricerca geometrica e sulla sostenibilità autentica, quando ancora non era una parola di moda. Con un approccio che unisce creatività e rigore, Nicoletta ha trasformato il rettangolo in una dichiarazione d’intenti, brevettando modelli iconici come il BI-NIKI e dando forma a un guardaroba etico, tracciabile e circolare. In questa intervista ci racconta come la moda, per lei, non sia solo stile ma anche responsabilità, e come ogni cucitura possa diventare un gesto di cambiamento.
L’intervista a Nicoletta Fasani
Quando è nata la sua attività e perché ha deciso di avviarla?
Nel 2010 ho aperto la PIVA come artigiana. Tutto è cominciato dalla mia passione per i tessuti, il design e le forme geometriche. Dopo la laurea in filosofia (2004) ho iniziato a lavorare nell’ambito della formazione/educazione e parallelamente ho frequentato corsi di cucito per imparare a fare i cartamodelli e perfezionare la mia conoscenza. Ed è stato in quel momento che ho scoperto che la ‘filofofia’ era non solo amore per il sapere ma ‘passione del filo’.
Proprio dallo studio dei cartamodelli e della geometria, ho brevettato nel 2011 il BI-NIKI: un abito composto da due rettangoli intercambiabili e sovrapponibili. Un abito senza bottoni e chiusure che consente di vestirsi in due modi diversi. Alla base di questo abito e dei successivi (MONO-NIKI, TRINIKI) c’è lo studio di una forma geometrica: il rettangolo. Non a caso tutti i cartamodelli nascono dallo sviluppo di questa forma e si declinano in differenti modi. Ho scelto con di tornare alla forma originaria con la realizzazione di questi primi tre abiti e attraverso tagli e cuciture, giocare sulla trasformazione e sulla possibilità di indossare gli abiti in modi differenti.
Lei crede nella moda sostenibile e perché?
Oggi la parola ‘sostenibile’ e la sostenibilità è entrata sia nel linguaggio quotidiano sia nella nostra vita. Nel 2010 quando ho aperto la PIVA, parlare di ‘moda sostenibile’ non era consuetudine. Ho scelto fin da subito di orientarmi verso la sostenibilità, e l’ho fatto per necessità. Andando da un fornitore in Brianza di tessuto da cui ero solita fornirmi e acquistando una pezza di cotone blu, mi sono ritrovata mentre tagliavo e cucivo il tessuto le mani sporche di colore blu.
E da lì ho cominciato a interrogrami in modo approfondito su metodi di tintura, e processi di lavoro. A quel punto non potevo più fare finta di nulla e ho rivisto molti fornmitori e scelto solo quelli che avevano (già nel 2011) certe certificazuoni. Credo nella moda sostenibile così come credo in una alimentazione sana, fatta di cose e di ingredienti buoni e non nocivi alle persone e all’ambiente. La pelle è l’organo più esteso del nostro corpo e rimane a contatto con i nostri vestiti tutto il giorno, e talvolta anche la notte. Utilizzare fibre sintetiche fa male a noi ma anche all’ambiente e alle generazioni future.
Ho scelto nel mio piccolo, di agire il cambiamento: produco tra Milano e Busto Arsizio, utilizzo tessuti certificati, naturali e deadstock e collaboro con piccoli laboratori a conduzione familiare nel Varesotto.
Le declinazioni del concetto di sostenibilità
Come declina il concetto di sostenibilità con i suoi capi?
La sostenibilità è sia nel materiale utilizzato, sia nel processo di produzione. I materiali sono tessuti naturali come lino, canapa, fibra di ortica (ramiè) cotone biologico o viscosa per la stagione estiva, mentre per la stagione invernale utilizzo lana 100%, lana e cachemire, canapa, velluto di cotone. Ogni capo all’interno ha l’etichetta di composizione e di cura e manutenzione, per aiutare il consumatore a mantenere la fibra e il capo il più a lungo possibile. Per le spedizioni all’interno della città di Milano mi avvalgo di un corriere che effettua consegne con mezzi a basso impatto ambientale come biciclette e cargo bike.
Le sue clienti acquistano i suoi capi anche perché sono sostenibili?
Dal 2010 le clienti che mi sostengono e che acquistano i miei capi sono clienti attente alla sostenibilità ma anche al bello.
Ho sempre cercato di unire il bello e il buono, tant’è che il mio claim dal 2010 è : ‘IL bello è la conseguenza del giusto’ ispirandomi ad un modo di dire giapponese nell’arte degli origami: se si segue il ‘giusto’processo, il bello deriva necessariamente dalla buona regola. Così nel mio brand, da subito ho cercarto di unire estetica (tessuti belli, colori di tendenza, forme accattivanti) ed etica (tessuti certificati, deadstock e riduzione impatto ambientale) convinta che la moda sostenible deve essere anche bella oltre che buona. Quindi le mie clienti scelgono sia la sostenibilità e l’attenzione all’impatto socio-ambientale, ma anche l’estetica, il gusto e il colore dei capi che propongo nelle mie collezioni. Amo molto la parte creativa e di ricerca: ogni collezione è sempre preceduta da 6 mesi di studio di colori e tendenze, partecipo a fiere e seminari per rimanere al passo con le tendenze, convinta che, come diceva Chanel: ‘la moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti… la moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, con il nostro modo di vivere, con ciò che sta accadendo’.
Quali certificazioni ha al momento?
Le certificazioni che possiedo sono relative al tessuto. Utilizzo cotone certificato GOTS (Global Organic Textile Standard) che è una certificazione ambientale e sociale ed OEKO-TEX® STANDARD 100 è una certificazione per i tessuti testati per le sostanze nocive.
E il packaging?
Il packaging è zero waste in quanto ogni capo viene venduto insieme ad una borsa creata con gli avanzi del tessuto, in modo da ottimizzare gli scarti di produzione e dare nuova vita ad un materiale che rimarrebbe inutilizzato.
I suoi prodotti sono tracciabili?
Qualità e trasparenza sono da sempre nel DNA della mia impresa che negli anni ha ottenuto anche importanti riconoscimenti, come il ‘Premio Impresa e Valore 2023’ per l’impatto sociale e ambientale sul territorio, promosso dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.
Ma in tempi di greenwashing il racconto e l’onestà dell’artigiano, che per vocazione fa bene il suo lavoro, non è più sufficiente: non basta aggiungere un tocco di verde alla propria comunicazione, parlando di sostenibilità o circolarità.
Occorre fornire dati certi, rendere misurabile il proprio valore. Affiancata da RENOON, piattaforma tecnologica italo olandese per la moda responsabile, ho scelto uno strumento di tracciabilità per garantire la trasparenza del mio marchio: ogni capo, anche on line nella sezione shop, è dotato di Dpp – Digital product passport, un passaporto digitale con informazioni dettagliate sulla catena di fornitura del prodotto. Scansionando il QR Code, si potrà conoscere ad esempio il fornitore di filo o elastici, il laboratorio di confezione, scaricare la certificazione del tessuto, controllare l’impiego di materiali cruelty free, scoprire come avviene la stampa del catalogo. Non cè sostenibilità senza trasparenza e non c’è trasparenza senza tracciabilità.
Il Passaporto digitale, per una piccola impresa artigianale come la mia, è un grande traguardo: non è stato semplice racchiudere in un QR Code il racconto di una storia diversa rispetto a produzioni più seriali e automatizzate. Ma io ho scelto di essere responsabile.
Non solo a parole.
Come e dove si vede fra 5 anni?
Una delle sfide più attuali è l’economia circolare, sia per le grandi imprese ma soprattutto per le micro e piccole. Tra 5 anni vorrei riuscire a trasformare il mio modello di busness in una direzione sempre più circolare che oltre ai materiali durevoli e ai capi riparabili (già in uso), utilizzi il più possibile materiale deadstock certificato. Di qui l’implementazione della ricerca verso nuovi fornitori qualificati in tal senso.
Perchè credo fermamente che ogni azienda abbia la propria vocazione e la mia è incentrata sulla creazione di un guardaroba sostenibile ma al contempo estetico (nel senso in cui la parola tendenza fa riferimento al suo essere ancorata alla realtà)
Inoltre dallo scorso anno ho un temporary shop stagionale a Sestri Levante dove oltre a vendere e proporre le mie collezioni, porto avanti il mio progetto di moda sostenibile divulgando e informando le persone sugli impatti della fast fashion incoraggiando l’acquisto verso le piccole realtà. Mi piacrebbe sviluppare dei workshop anche rivolti al mondo aziendale a tema sostenibilità attraverso l’uso del tessuto e dei miei scarti di produzione. (v. progetto SCARTORIA che conduco dal 2010 rivolto a bambini e adulti ma non ancora al mondo aziendale). Nicoletta Fasani è tra le Imprese Lombardia 2030, selezionate dalla Regione tra le PMI che hanno raggiunto importanti traguardi di sostenibilità rispetto agli Obiettivi dell’Agenda ONU 2030, oltre ad essere presente nel Catalogo ufficiale del Comune di Milano dedicato alle realtà di economia circolare.
(intervista raccolta da Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life)