DONE! non è solo un brand, ma un progetto che nasce da una domanda semplice e radicale: come rendere la sostenibilità qualcosa di autentico e concreto, e non un’etichetta da applicare a posteriori? Dietro ogni zaino c’è una visione che mette al centro le persone e il loro modo di vivere, consumare, relazionarsi con il pianeta. La sostenibilità, qui, non è una scelta di marketing, ma un percorso che intreccia responsabilità, ricerca e cura. Uno zaino diventa allora un simbolo: un compagno di viaggio che porta con sé un messaggio più grande, capace di trasformare un gesto quotidiano in un atto di consapevolezza. In questa intervista scopriamo l’anima di DONE!, dal legame con Save The Planet alle emozioni di un viaggio in Amazzonia, fino al ruolo del design come ponte tra estetica, funzionalità e impegno etico.
Gaiazoe.life ha intervistato Stefania Gnutti, founder del brand
DONE! è nato con una forte impronta sostenibile. Qual è stata la scintilla che ha dato vita a questo progetto e in che modo si intreccia con la tua visione personale?
Ancora prima di decidere che il brand si sarebbe chiamato DONE!, quando stavo iniziando a sviluppare l’idea dello zaino, mi sono posta una domanda fondamentale: come posso intraprendere la strada della sostenibilità in modo autentico, serio e trasparente? Questa riflessione è stata la scintilla che ha dato vita al progetto. Non si è trattato semplicemente di “aggiungere” un’etichetta green, ma di costruire fin da subito un percorso coerente, che partisse dalla scelta consapevole dei materiali, arrivando fino all’identificazione dei partner produttivi, approfondendo, studiando e cercando realtà che condividessero gli stessi valori. Dal punto di vista personale, ho sempre creduto che non possa esistere una vera sostenibilità ambientale senza una profonda cultura della sostenibilità umana. Questo significa mettere al centro la persona: il modo in cui vive, lavora, consuma, e soprattutto come prende coscienza dell’impatto delle proprie azioni sugli altri e sul pianeta. Per me sostenibilità vuol dire responsabilità, conoscenza, consapevolezza. Significa coltivare abitudini sane e rispettose, non solo verso l’ambiente, ma anche verso sé stessi e verso gli altri. DONE! è quindi la sintesi di questa visione: un oggetto quotidiano, come uno zaino, che diventa portatore di un messaggio più ampio, uno strumento per comunicare un modo diverso di pensare e di agire. Un piccolo gesto – come scegliere cosa indossare – può innescare un cambiamento, se alla base c’è un pensiero solido e un’intenzione autentica.
Save the planet: un alleato geneticamente in linea con DONE!
La collaborazione con Save The Planet è iniziata fin da subito: che cosa vi ha unito e come si è sviluppata questa sinergia?
La collaborazione con Save The Planet è nata in modo molto naturale. Ho conosciuto Elena Stoppioni, presidente dell’associazione, grazie a un contatto in comune, e sin dal nostro primo incontro si è creata una forte sintonia. Ho trovato in Elena una persona e una professionista di grande integrità, trasparenza e profondi valori, caratteristiche che mi hanno subito ispirata e fatta sentire in buone mani. Quella che inizialmente è stata una sinergia umana, fatta di dialogo e condivisione di visioni, si è trasformata presto in una collaborazione concreta. Elena mi ha guidata nel comprendere più a fondo le implicazioni della sostenibilità ambientale, aiutandomi a orientarmi tra scelte responsabili e strategie etiche. Il suo supporto è stato fondamentale per rafforzare le fondamenta del progetto DONE! e per dare ancora più coerenza al nostro impegno verso un impatto positivo. Questa collaborazione continua a evolversi, ed è per me un esempio virtuoso di come la condivisione di intenti tra persone possa trasformarsi in azioni reali e significative.
Il tuo recente viaggio in Amazzonia a fianco di Save The Planet è stato un momento significativo. Quali sono le emozioni e le riflessioni che ti ha lasciato questa esperienza?
Il viaggio in Amazzonia con Save The Planet è stata un’esperienza che mi ha colta completamente impreparata, nel senso più profondo del termine. Spesso partiamo per questi luoghi lontani con l’idea, anche se in buona fede, di poter essere utili, di portare qualcosa. Ma arrivati lì ci si rende conto che è un approccio carico, anche inconsapevolmente, di ego. La realtà che ti accoglie è completamente diversa: sono persone che non si aspettano nulla da te, se non verità. Vogliono sapere chi sei, cosa fai e soprattutto perché lo fai. È un confronto che disarma, perché non cercano benefici materiali, ma una connessione umana autentica, senza filtri né sovrastrutture. Questo ti mette a nudo. Ti fa riflettere su quante volte viviamo in superficie, presi da dinamiche che lì sembrano completamente prive di significato. Ho incontrato persone che, pur vivendo in condizioni che definiremmo “povere”, hanno una ricchezza straordinaria: quella delle relazioni, del senso di comunità, del rispetto per la natura e per la vita stessa. È stato un viaggio che mi ha toccata profondamente. Mi ha restituito una verità semplice ma potente: ciò che davvero dà senso e pienezza alla mia vita è la condivisione. Condividere esperienze, pensieri, emozioni. In Amazzonia ho provato emozioni forti, intense, difficili da spiegare a parole, ma che continuano ad accompagnarmi ogni giorno, come un promemoria di ciò che davvero conta.
La Scuola Agricola Rainha dos Apóstolos
La Scuola Agricola Rainha dos Apóstolos svolge un ruolo educativo cruciale nella regione amazzonica. Cosa ti ha colpito di più del lavoro che svolgono con i giovani?
Prima di tutto, ho scelto di sostenere la Scuola Agricola Rainha dos Apóstolos per una questione di coerenza. Lo zaino – simbolo centrale dei miei prodotti – rappresenta molto più di un semplice oggetto: è un contenitore di esperienze, di crescita, di opportunità. Ci accompagna fin dall’asilo, nei viaggi, nel lavoro, ovunque ci sia qualcosa da imparare e portare con noi. Questa scuola, nel cuore dell’Amazzonia, è una realtà che sorprende. Il loro approccio educativo torna all’essenza più autentica della vocazione dell’insegnante: formare persone libere. Non si limitano a trasmettere conoscenze teoriche, ma aiutano i giovani a sviluppare un pensiero critico, autonomo. Li preparano a saper scegliere, a pensare con la propria testa, a costruirsi un futuro partendo da solide basi culturali e valoriali. È un’educazione che punta alla libertà, quella vera: la libertà di chi ha gli strumenti per riflettere, comprendere e decidere. Ed è questo che mi ha colpito più di tutto.
Come pensi che l’educazione possa davvero diventare il motore di un cambiamento ambientale e sociale duraturo?
Credo fermamente che l’educazione sia la vera chiave per un cambiamento ambientale e sociale duraturo. Non parlo solo dell’educazione scolastica, ma di un’educazione diffusa, trasversale, che arrivi alle persone in ogni fase della vita e in ogni contesto. Educare significa rendere consapevoli, fornire strumenti per comprendere il mondo, per leggere la complessità e fare scelte responsabili. Senza consapevolezza non può esserci cambiamento. Possiamo creare mille iniziative sostenibili, ma se non educhiamo alla responsabilità individuale e collettiva, restano gesti isolati. L’educazione deve allenare il pensiero critico, coltivare l’empatia, stimolare il senso di connessione con ciò che ci circonda: persone, ambiente, comunità. Per me, educare alla sostenibilità significa insegnare a guardare oltre l’immediato, a comprendere l’impatto delle nostre azioni nel tempo e nello spazio. Significa anche dare valore alla cura: di sé, degli altri, del pianeta. Solo così possiamo creare una cultura che non sia “green” per moda, ma per convinzione profonda. In fondo, un mondo migliore non si costruisce con grandi gesti eroici, ma con milioni di piccoli gesti consapevoli, e questi si imparano. Ecco perché educare non è un’opzione, ma un’urgenza.
Sostenibilità e design senza compromessi
Che ruolo ha il design nello sviluppo dei vostri prodotti? È possibile coniugare estetica, praticità e sostenibilità? In che modo i materiali riciclati o upcycled influenzano le scelte stilistiche e progettuali?
In DONE! il design ha un ruolo centrale, perché rappresenta il punto di incontro tra funzione, estetica e sostenibilità. Non crediamo che si debba scegliere tra bellezza e responsabilità: il nostro obiettivo è proprio quello di dimostrare che è possibile coniugare tutto, in equilibrio. Non è sempre facile, ma è assolutamente possibile. Il design per noi è progettazione consapevole. Ogni prodotto nasce da una riflessione profonda su come deve essere utilizzato, su come può durare nel tempo, su cosa può comunicare. La sfida è creare oggetti belli, funzionali e al tempo stesso sostenibili, che rispecchino un’estetica pulita ma anche un’etica chiara. I materiali riciclati e upcycled sono fondamentali in questo percorso. Non sono semplicemente una scelta “green”, ma la base da cui parte tutto il processo creativo. Ogni decisione di design viene influenzata dalla materia prima: il suo aspetto, la sua struttura, i suoi limiti. Nel nostro processo di sviluppo prodotto, non andiamo avanti se i materiali che selezioniamo non possono garantirci trasparenza e tracciabilità: se non hanno certificazioni, se non possiamo verificarne l’origine o l’impatto reale, preferiamo fermarci e ricominciare. Per noi sostenibilità non è un compromesso, ma una condizione imprescindibile.
In questo senso, il design in DONE! è anche un atto di coerenza: un modo per raccontare, attraverso ogni dettaglio, che bellezza e responsabilità possono camminare insieme, e devono farlo, se vogliamo davvero costruire un futuro diverso.
(Intervista raccolta da Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life)