Viviamo in un’epoca in cui è fondamentale conoscere l’impatto dei nostri consumi, specialmente quando si tratta di moda. Dietro a una t-shirt a pochi euro o a una spedizione superveloce si nasconde spesso un sistema insostenibile che consuma risorse, sfrutta lavoratori e danneggia l’ambiente. Per orientarci tra le promesse di sostenibilità e il greenwashing, esistono piattaforme affidabili come Good On You, che valuta centinaia di marchi di moda sulla base di criteri ambientali, sociali e legati al benessere animale. È importante anche sapere quali marchi boicottare per favorire un consumo più responsabile e boicottare.
Che cos’è Good On You?
Good On You è una piattaforma indipendente fondata nel 2015, pensata per aiutare i consumatori a fare scelte più etiche e consapevoli nel mondo della moda. L’app e il sito web forniscono valutazioni basate su dati pubblici, policy aziendali, report di sostenibilità e standard di terze parti (come Fair Trade, GOTS, PETA, etc.). I brand ricevono un punteggio da 1 a 5, dove:
- 5 = Great
- 4 = Good
- 3 = It’s a Start
- 2 = Not Good Enough
- 1 = We Avoid
La valutazione considera tre pilastri fondamentali:
- L’impatto ambientale (emissioni, uso di risorse, materiali)
- Le condizioni dei lavoratori nella filiera
- Il rispetto degli animali (uso di pelle, pellicce, lana, test)
I 10 brand meno sostenibili secondo Good On You
Questa è la lista dei 10 brand internazionali più problematici secondo Good On You, tutti valutati “We Avoid” o “Not Good Enough”, cioè da evitare per chi ha a cuore la sostenibilità.
1. SHEIN
Uno dei colossi dell’ultra-fast fashion, SHEIN è tra i brand meno trasparenti e più dannosi. Vabbé, ovviamente non c’è da sorprendersi di questa posizione.
Le criticità:
- Mancanza totale di dati verificabili sulle condizioni di lavoro.
- Nessuna strategia ambientale seria.
- Pratiche iperproduttive: migliaia di nuovi prodotti al giorno.
- Uso massivo di fibre sintetiche e microplastiche.
2. TEMU
L’alternativa cinese ad Amazon è in rapida crescita, ma la sostenibilità non fa parte del suo DNA. Anche in questo caso, la sorpresa non è assolutamente contemplata. In fondo se il sistema usato è quello di Amazon, non c’è da meravigliarsi.
Le criticità:
- Nessuna policy pubblica su ambiente o diritti dei lavoratori.
- Prezzi insostenibilmente bassi.
- Nessuna tracciabilità della produzione.
3. ZAFUL
Brand di abbigliamento low-cost molto popolare tra i giovani, ma con scarsa etica.
Le criticità:
- Totale assenza di trasparenza sulla filiera.
- Nessuna certificazione ambientale o sociale.
- Produzione rapida e in larga scala, con uso massiccio di materiali sintetici.
4. CIDER
Estetica accattivante, ma dietro il marketing si nasconde l’ennesimo esempio di fast fashion insostenibile.
Le criticità:
- Mancanza di report ESG pubblici.
- Produzione intensiva con bassa qualità.
- Modello basato su trend volatili e spreco.
5. FASHION NOVA
Popolarissimo tra influencer e celebrità, ma tra i peggiori in termini di responsabilità.
Le criticità:
- Denunce per sfruttamento nei laboratori californiani.
- Nessuna riduzione dell’impatto ambientale.
- Uso intensivo di fibre a basso costo e inquinanti.
6. BRANDY MELVILLE
Amatissimo da adolescenti e teenager, ma estremamente opaco nel suo funzionamento interno.
Le criticità:
- Nessun impegno ambientale dichiarato.
- Cultura aziendale controversa e poco inclusiva.
- Mancanza di azioni concrete su diritti dei lavoratori.
7. ZARA (INDITEX)
Uno dei pionieri del fast fashion: pur avendo annunciato obiettivi di sostenibilità, il suo modello resta insostenibile.
Le criticità:
- Sovrapproduzione cronica.
- Progetti sostenibili poco ambiziosi e difficilmente verificabili.
- Mancanza di trasparenza su fornitori e salari.
8. H&M GROUP
Con campagne molto “green”, H&M è accusato spesso di greenwashing.
Le criticità:
- Promozione di collezioni sostenibili mentre continua a produrre in massa.
- Condizioni di lavoro in paesi a basso costo criticate da ONG.
- Percentuale minima di materiali riciclati rispetto al totale.
9. ASOS
Grande marketplace globale con brand propri e in licenza, ma ancora in ritardo sulla transizione sostenibile.
Le criticità:
- Politiche vaghe e poco trasparenti.
- Scarsa tracciabilità dei fornitori.
- Produzione veloce e modelli di business non allineati alla sostenibilità.
10. BOOHOO GROUP
Sotto accusa per gravi violazioni dei diritti dei lavoratori nel Regno Unito.
Le criticità:
- Indagini giornalistiche su condizioni di semi-schiavitù.
- Nessun piano serio di decarbonizzazione.
- Produzione rapida e materiali a basso costo.
Fonti e approfondimenti
- Good On You – Best & Worst Rated Brands 2024
- How We Rate Brands – Good On You
- Fashion Transparency Index – Fashion Revolution
(a cura di Gaiazoe.life)