Non è la prima volta che il produttore di fast fashion cinese Shein viene accusato di aver copiato alcuni modelli di abiti realizzati da brand famosi: l’azienda aveva già affrontato azioni legali di presunta violazione del copyright anche da parte di Levi Strauss, Dr Martens e Ralph Lauren (l’hashtag #sheinstolemydesign è arrivato a quota 6,4 milioni).
Tuttavia oggi, lo scontro è tra titani del fast fashion in quanto Shein, secondo The Guardian, sarebbe stato accusato di aver effettuato delle copie da Zara, il marchio di fast fashion del gruppo spagnolo Inditex. Secondo il giornale, Zara (che non ha commentato la vicenda) avrebbe denunciato Shein dopo aver visto la condivisione sui social di alcuni suoi capi identici a quelli realizzati dal gruppo cinese. Online infatti, è possibile trovare account, soprattutto su Instagram di influencer che spesso realizzano confronti tra i capi dei due brand e suggeriscono di acquistare quelli realizzati dal gruppo cinese, in quanto costano decisamente di meno.
Il punto di vista di Gaiazoe
Appena letta la notizia facendo rassegna stampa internazionale, ammettiamo di aver pensato a una legge karmica del contrappasso. Quando si tratta di individuare il livello si sostenibilità di un marchio di moda, Gaiazoe si affida al rating di GoodOnYou e Zara, come riportato più volte anche dai giornali, non si è mai caratterizzato per essere un brand molto etico, laddove la sostenibilità è anche legata al trattamento dei lavoratori.
Secondo gli ultimi ratings (in fase di aggiornamento) di GoodOnYou, il brand continua ad essere un marchio che non fa abbastanza per essere sostenibile (not enough è la dicitura per questa tipologia di brand). Sebbene l’azienda abbia attivato il programma Closing the Loop, ovvero la possibilità di lasciare i propri indumenti usati in uno dei 3000 negozi presenti in 96 Paesi nel mondo, operazione che mira a dare una seconda vita ai capi, e per quanto in questa operazione l’azienda utilizzi imballaggi riciclati, non esistono al momento prove di un esito positivo dell’operazione. Inoltre, il fatto che l’azienda abbia prefissato di ridurre le emissioni di gas serra generate dalle proprio operazioni di approvvigionamento, non si sono nemmeno qui prove del fatto che essa sia sulla strada per raggiungere il proprio obiettivo. Tra l’altro, Zara, come ogni catena di fast fashion si caratterizza per la produzione di numerosi capi che arrivano regolarmente al punto vendita seguendo le nuove tendenze, modello di business dannatamente dannoso per l’ambiente (ndr lo sottolineamo poiché solo la scorsa settimana, in tutto il mondo si è celebrata la giornata mondiale della Terra, ma si sa, questo tipo di ricorrenze arrivano, giustamente, una volta all’anno poiché nei restanti 354 giorni, ci si comporta in maniera inquinante)
Le opzioni di miglioramento sul pagamento dei salari: ampio margine di miglioramento
Sempre nell’ambito dei ratings di GoodOnYou, Zara risulta essere poco trasparente in quanto, anche se pubblica informazioni dettagliate sulle politiche dei suoi fornitori, sugli audit, sui processi di riparazione, sulla parità di genere e sulla libertà di associazione, non ha ancora conseguito progressi importanti sul pagamento del salario di sussistenza lungo la sua catena di approvvigionamento e, considerando l’alto numero di prodotti realizzati e immessi sul mercato annualmente, questo, indubbiamente non risulta essere “abbastanza buono”.
Il benessere degli animali per Zara
Zara, relativamente alla politica di benessere degli animali, segue la linea espressa da Five Freedoms sul benessere degli animali, in linea con le Five Freedoms, decretando nelle sue collezioni il divieto di pellicce, angora e prodotti di stoccaggio testati sugli animali. Purtroppo, però. Zara usa lana, pelle, piumino e peli di animali esotici e non ci sono prove che facciano risalire prodotti animali alla prima fase di produzione.
Ma, come tutti i marchi di fast fashion, anche Zara basa il proprio modello di business sull’alta rotazione e rifornimento di nuove collezioni in negozio (si parla di un ciclo di 13 giorni, ovvero nei punti vendita della catena i rifornimenti con nuove collezioni avvengono ogni, quasi, due settimane).
E allora le domande che ci sorgono spontanee sono: che senso ha acquistare oggi, con la consapevolezza che abbiamo, capi di fast fashion? Come ci si può prestare a fare video in cui si parla di sostenibilità un giorno (ci riferiamo a molti influencer) per poi mostrare outfit in cui salta immancabilmente fuori un capo di qualche catena low cost? Qual è , infine, la cultura della/sulla moda a livello mainstream, quando ci si accontenta di capi spesso copiati (che quindi non tengono conto del copyright e dei diritti intellettuali di chi li crea), fatti male e in tessuti spesso misti, anche se originariamente prodotti con filati riciclati (ndr lo sapete che un prodotto realizzato con filati misti non è riciclabile, quindi viene bruciato in un inceneritore?): insomma, qual è il valore aggiunto di acquistare prodotti realizzati spesso da schiavi che vivono in altre parti del mondo che realizzano, di fatto, stracci?
Ve lo chiedete, prima di entrare in un sito ecommerce come quello di Shein o prima di superare le barriere di entrate di un qualsiasi Zara, H&M e company?
(a cura di Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life, il blog dedicato alla sostenibìlità)
FONTI:
THE GUARDIAN
GOODONYOU
Photo credit via https://www.jxopays.top/products.aspx?cname=shein+and+zara&cid=49&xi=4&xc=22