Un recente verdetto emesso da una giuria del North Dakota ha sollevato una tempesta di preoccupazione tra attivisti e difensori della libertà di espressione. Greenpeace, una delle più importanti organizzazioni ambientaliste al mondo, è stata condannata a pagare oltre 660 milioni di dollari alla compagnia petrolifera Energy Transfer, un’azienda co-fondata da un importante donatore della campagna di Donald Trump, come raccontato da Katherine Viner su The Guardian. La sentenza, arrivata dopo un processo durato cinque settimane, ha stabilito che Greenpeace è responsabile di diffamazione e altre accuse legate alle proteste contro l’oleodotto Dakota Access nel 2016 e 2017.
Secondo esperti legali e attivisti, questa decisione potrebbe incoraggiare altre compagnie del settore petrolifero e del gas a intraprendere azioni legali contro i manifestanti, creando un pericoloso precedente.
Un attacco alla libertà di protesta
Il senatore del North Dakota, Kevin Cramer, ha applaudito la decisione, affermando che essa rappresenta “giustizia servita” e che Greenpeace e altri gruppi ambientalisti “ci penseranno due volte prima di ripetere simili azioni”. Tuttavia, le organizzazioni per i diritti civili, tra cui Amnesty International, hanno definito la sentenza “devastante”, in quanto mina il diritto alla libertà di espressione e di protesta pacifica.
Brian Hauss, avvocato senior dell’American Civil Liberties Union (ACLU), ha paragonato il verdetto a una “tassa sulla libertà di parola”, affermando che il rischio di cause legali multimilionarie potrebbe dissuadere gruppi e individui dal contrastare le grandi aziende. “Se le aziende possono citare in giudizio critici, attivisti e manifestanti fino alla bancarotta per le loro dichiarazioni e per le azioni illegali di terzi, allora nessuno si sentirà più al sicuro nel denunciare il malaffare aziendale”, ha detto Hauss.
Il ruolo di Energy Transfer e il pericolo di una giustizia selettiva
Energy Transfer non è nuova a iniziative legali aggressive contro i suoi oppositori. Il suo CEO, Kelcy Warren, ha finanziato con milioni di dollari le campagne pro-Trump e ha reso una missione personale l’eliminazione delle voci critiche. La compagnia ha già intentato diverse cause contro Greenpeace e altri movimenti ambientalisti, alimentando il timore di un uso strategico del sistema legale per silenziare le opposizioni.
In assenza di una legge anti-SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation) in North Dakota, Greenpeace ha avuto poche possibilità di contrastare la causa prima che arrivasse alla giuria. Molti stati degli Stati Uniti proteggono individui e organizzazioni da cause temerarie intentate con l’unico scopo di scoraggiare la partecipazione pubblica, ma il North Dakota non è tra questi.
Il futuro della lotta ambientale
Greenpeace ha dichiarato che intende fare appello contro la sentenza presso la Corte Suprema del North Dakota e ha già avviato un’azione legale nei Paesi Bassi contro Energy Transfer, facendo leva sulla Direttiva anti-SLAPP dell’Unione Europea.
Sushma Raman, direttrice ad interim di Greenpeace USA, ha dichiarato che l’organizzazione non smetterà di lottare per il clima e la giustizia ambientale, ma ha riconosciuto che una simile condanna avrà un impatto sulle capacità operative del gruppo.
Il verdetto contro Greenpeace è solo l’ultimo capitolo di un’ampia offensiva legale contro il diritto di protesta negli Stati Uniti. Dal 2017, il Centro Internazionale per il Diritto Non-Profit ha registrato un incremento delle leggi anti-protesta, che mirano a rendere più severi i reati legati alle manifestazioni e a estendere la responsabilità anche a chi supporta le proteste.
(a cura di Gaiazoe.life)