Vi racconto cosa mi è successo.
In questi giorni, complice un decluttering forzato a causa di alcuni lavori in casa, ho riscoperto dentro un armadio un piccolo tesoro dimenticato: scampoli e tessuti che negli anni mi erano stati regalati. Lì per lì ho pensato: perché non dare sfogo alla creatività nella sartoria? Così, ho aggiunto al mucchietto anche dei vecchi jeans — alcuni ancora belli ma inutilizzati — e mi sono rivolta alla mia sarta abituale, quella che mi ha sempre aiutata a reinventare capi con ironia e talento.
La risposta? «Mi spiace, sono overbooked fino a settembre.»
La sartoria è un’arte che richiede passione e dedizione.
Un po’ dispiaciuta, provo con una seconda opzione: una giovane sarta che ha appena aperto un negozio nel quartiere, fresca, cortese, con una solida esperienza in Prada (che non guasta). Accoglie con entusiasmo la mia proposta… ma anche lei è al completo nella sua sartoria.
La terza sarta? Stessa storia.
Morale: trovare una sarta oggi è quasi come trovare un dermologo disponibile a settembre.
Ma allora viene da chiedersi: perché tutto questo fermento intorno alla sartoria? Perché sono tornate così di moda le mani sapienti? Perché le persone oggi fanno la fila per recuperare, ripensare, trasformare? Forse perché la moda tradisce, il lusso arranca e la qualità — quella vera — oggi si cerca altrove.
Il ritorno alla sartoria
In un’Italia che corre veloce tra stagioni moda e trend effimeri, sta emergendo un movimento silenzioso ma potente: il ritorno alla sartoria. Un gesto che va oltre l’estetica e diventa espressione d’identità, atto ecologico e scelta etica.
Chi si rivolge oggi a una sarta, lo fa per molte ragioni. La prima è la ricerca di autenticità: in un mondo che impone taglie standard e mode preconfezionate, un capo su misura è un atto di cura verso se stessi. Le persone vogliono indossare qualcosa che parli davvero di loro, che abbracci le forme del corpo, racconti una storia, evochi un’emozione. E in questo, la sartoria si rivela uno spazio intimo di ascolto e di creazione condivisa.
Ma non solo: la sartoria si sta trasformando anche in un laboratorio di upcycling creativo. Capi dimenticati, tessuti vintage, abiti del passato tornano a nuova vita sotto le mani esperte delle artigiane. Recuperare, reinventare, prolungare la vita dei vestiti diventa una scelta sostenibile che riduce gli sprechi, ma anche un gesto affettivo, che conserva memoria e significato.
Moda etica contro l’illusione della qualità
Questo ritorno alla sartoria è anche una risposta a un sistema moda che, pur parlando di sostenibilità, continua a produrre su larga scala sfruttando persone e risorse, in Italia e all’estero. I brand, anche quelli di fascia alta, spesso vendono l’illusione della qualità, mentre nascondono condizioni di lavoro precarie, materiali scadenti e processi opachi.
Scegliere la sartoria è quindi una forma di disobbedienza etica. Un modo per dire no alla moda usa-e-getta, no al greenwashing, no al lusso di plastica mascherato da eccellenza. È tornare a un ritmo umano, a un’economia relazionale, a un’estetica del vero. È riscoprire che un abito può essere bello, comodo, durevole e soprattutto giusto.
In un mondo che ci vuole consumatori passivi, riscoprire la sartoria è un atto rivoluzionario. È scegliere di rallentare, di farsi domande, di creare connessioni. È ridare valore al tempo, alla manualità, alla relazione tra chi fa e chi indossa.
Un piccolo gesto che può cambiare il nostro guardaroba – e forse anche il nostro modo di stare nel mondo.
(a cura di Viviana Musumeci founder di Gaiazoe.life)