Forse non tutti sanno che viviamo in un’epoca chiamata antropocene ed è forse la prima volta nella storia dell’uomo in cui, proprio quest’ultimo, è il vero responsabile, dopo 12.000 anni di clima stabile e 4 miliardi di anni in cui la terra è cambiata da sola, di quanto sta accadendo al nostro Pianeta. E non è un bene.
Ma l’uomo non è solamente ingiusto nei riguardi del Pianeta: il vero artefice della povertà di molte popolazioni dipende è sempre l’essere umano, quanto mai, poi, nella moda. Questo è un fatto descritto anni fa in un libro che le nuove generazioni, spesso non conoscono, ma che continua a essere estremamente attuale: No Logo di Naomi Klein. Tutti veniamo concepiti nello stesso modo, ma quando poi veniamo al mondo, siamo già vittime di disuguaglianze che esistono a causa del modo in cui diffondiamo la nostra cultura (colonizzazione?), costumi, stili di vita ed economie.
E la moda con le grandi corporation cosa fa?
La moda è quella disciplina che sempre cambia e rispecchia l’evoluzione della società, tuttavia, quando si tratta di sostenibilità, lo fa con più lentezza e resistenza. I designer (ma anche molti media), come se vivessero in una bolla completamente lontana dalla realtà, diffondono un’idea di moda che risale, dal punto di vista economico, a quella della rivoluzione industriale, questo perché la moda non ha a che fare solamente con la protezione del corpo, l’espressione del proprio status sociale o psicologico, ma è diventata una vera e propria potenza economica che ha sempre fruttato utili per i grandi gruppi. Per questo oggi, se un ragazzo si avvia sulla strada del fashion per diventare designer, dovrebbe farlo, fin da subito in maniera etica. In realtà, questo auspicio riguarda tutti gli operatori della moda e non solo gli stilisti.
Pensiamo, ad esempio, alla popolazione mondiale: è certo che è in continua crescita. Questo significa non solamente prevedere che gli stili di vita cambino, ma anche che molte più persone si vestiranno.
La domanda è: è ancora necessario produrre nuovi capi, sfruttare le risorse del Pianeta per farlo?
Se non accadesse, paradossalmente, non andremmo in giro nudi e troveremmo il modo di riciclare ciò che abbiamo. Allora non è possibile che ci pensino anche le aziende a tutto questo? Non è un caso che nei Paesi nordici pullulino di negozi di usato perché è culturalmente accettato che si consumi di meno, si ricicli o si riusi ciò che si ha per non impattare sull’ambiente. Invece, l’industria della moda continua a puntare sullo sfruttamento, anche quando si tratta di aziende “sostenibili”. Sfruttamento di risorse alternative (per quanto?), sfruttamento di risorse umane (ci sono molti brand che oggi sono sostenibili dal punto di vista ambientale, ma continuano a sottopagare le persone che lavorano per loro); sfruttamento dei consumatori che vengono considerati oche a cui fare ingollare cibo a prescindere, perché da qualche parte, se lo si produce, è necessario anche piazzarlo sul mercato.
La moda è diventata una droga tale che chi si può permettere capi di alta qualità ed estremamente costosi li acquista con la stessa solerzia con cui la massa entra in una cheap chain, acquistando fast fashion (o junk fashion, per restare in tema) a prezzi risibili (ndr dietro i quali si nasconde lo sfruttamento di esseri umani. Per questa ragione, da anni non acquisto più prodotti di fast fashion e preferisco il vintage o l’usato ben tenuto da acquistare o rubare dagli armadi di parenti e amici). La “scimmia” da fashion è stata esacerbata, poi, dalla rivoluzione digitale che ha definitivamente cambiato il modo di acquistare abiti e accessori. Il prossimo step, come tutti sanno, è quello che rivoluzionerà di nuovo questo ambito con l’introduzione dell’intelligenza artificiale e que sera sera. Di fatto, però l’acquisto bulimico di fashion, l’uso rapido e breve dei capi ha segnato anche un cambiamento di percezione del valore della moda, tanto che molte aziende fashion sostenibili aderiscono al wear me 30 times in modo tale da allungare la vita dei capi.
E il consumatore che fa per essere sostenibile?
Il cambiamento, come è ormai noto, è partito dalle generazioni più giovani, i millenials che in generale da un po’ di tempo chiedono a gran voce maggiore chiarezza sulle origine dei capi che acquistano e maggiore integrità da parte delle aziende. Fortunatamente le nuove generazioni pensano al proprio futuro più di quanto non abbiano fatto i loro genitori e i loro nonni ed esigono, anche, maggiore giustizia ambientale e sociale.
Insomma, se è vero, come è del resto vero, che siamo, per parafrasare Barack Obama la prima generazione che comprende il cambiamento climatico e l’ultima che possa fare qualcosa a tale riguardo è altrettanto doveroso da parte dell’industria della moda di smettere di procrastinare un vero e proprio cambiamento altrimenti in futuro, con la scomparsa di determinate materie prime e con l’accelerazione del cambiamento climatico, le risorse diminuiranno e il mondo fashion dovrà cambiare necessariamente per cause di forza maggiore.