Il capitalismo, come sosteneva l’economista Durkeim, ha nel suo DNA la capacità di modificarsi e adeguarsi ai cambiamenti. La giornalista e attivista Naomi Klein ha dedicato la sua vita, prima con No Logo e poi con numerosi saggi, non ultimo Il mondo in fiamme: contro il capitalismo per salvare il clima.Feltrinelli, allo studio dell’economia abbinata alla sostenibilità e la risposta, che non piacerà ai molti, è una sola:
il capitalismo così come siamo abituati a conoscerlo e a cavalcarlo tutti (nessuno escluso) è il responsabile anche della antropocene.
Il consumismo in ogni ambito, incluso quello della moda, è nemico, nella sua espressione attuale, dell’ambiente.
Perché il consumismo è nemico dell’ambiente?
Quando parlo di consumismo non mi riferisco ad esso in maniera ampia da un punto di vista temporale, ma parlo proprio di quello attuale, ovvero quel fenomeno che consente di mettere la maggior parte della ricchezza nelle mani di pochi potentissimi uomini nel mondo e lasciare tutta una parte di popolazioni che non hanno nemmeno la possibilità di mangiare un pasto durante la giornata. E il mondo, ormai, è una palla che si divide così.
Quel consumismo che ancora oggi fa sì che i media veicolino l’impulso a fare shopping senza pensare perché viviamo in una società schizofrenica dove, da un lato i telegiornali dei canali televisivi principali dedicano sempre l’ultima parte del tg alla sostenibilità e a notizie da magazine che riguardano questo tema, ma dall’altro, supportandosi ancora con la pubblicità e gli introiti legati alla vendita dei prodotti (quindi, sì, parliamo ancora del capitalismo attuale), il consumismo esagerato viene pubblicizzato, supportato e auspicato in ogni modo.
I modelli del consumismo nella moda
La moda mainstream e di lusso è tornata di recente a sfilare dopo due anni e due degli elementi emersi sono:
a) che le modelle, a parte qualche rara eccezione, sono ancora tutte magrissime, quindi non è cambiato molto dal punto di vista dell’attenzione ai modelli generati dal fashion business in fatto a bellezza;
b) che l’attenzione al consumo di risorse tra feste, eventi, sfilate a cui i giornalisti e gli influencers sono accorsi da tutte le parti del mondo là quando possibile è stato solo una ubriacatura dello scorso anno, quando alcuni stilisti come lo stesso signor Armani parlavano dell’importanza di ridurre lo sfruttamento delle risorse e di smetterla di fare sfilate ed eventi costosi economicamente e anche per l’ambiente. Tutto è tornato come prima e questo non ci rende migliori come qualcuno auspicava durante le canzoni urlate dal balconcino seguendo l’emozione del momento.
Non solo: chi come la sottoscritta che scrive trascorre molto tempo sui social, si sarà accorto del fenomeno secondo cui le fashion influencer “generaliste” ovvero quelle che sono diventate famose o stelline del 2.0 note per lo shopping selvaggio, per cambiare outfit non solo tutti i giorni ma anche più volte al giorno, per non badare minimamente alle etichette, alla tracciabilità, al riuso, al recycling, al vintage vero, alla riduzione di acquisti, per pubblicizzare qualsiasi cosa passi loro sotto mano come delle novelle Giorgio Mastrota che sì, fa televendite, ma è un vero professionista e non vuole passare per essere “veeeeero” ecc. diventare “testimonial” anche solo per il tempo in cui indossano i capi di brand sostenibili, perdendo così credibilità totale.
Non ci sarebbe nulla di male se queste ultime abbracciassero realmente uno stile di vita ecologico e green ma qui, l’unica cosa verde è il green washing perpetrato anche delle influencer stesse che cavalcano quella che per qualcuno è l’onda del momento.
Quindi, tornando alla domanda posta nel titolo di questo post, ovvero se sia possibile far convivere shopping selvaggio e scelte green, la risposta, anche se i carrelli fossero pieni solo ed esclusivamente di prodotti ecologici e sostenibli, rimane negativa per una ragione molto semplice.
Il problema della mancanza di sostenibilità è insito nello sfruttamento delle risorse per cui, anche se sarebbe una contraddizione in termini, sovraprodurre prodotti green ed ecologici porterebbe comunque, alla fine a uno sfruttamento delle risorse che annichilirebbero comunque il Pianeta su cui viviamo.
Rispetto a quanto scritto sinora rimane, dunque, aperta una questione nel senso di domanda:
se il capitalismo può cambiare, perché non lo fa per diventare più equo e quindi più sostenibile?
(a cura di Viviana Musumeci, founder di Gaiazoe.life)