Avete fatto caso, se avete dei figli, che quando cercate dei maglioni di lana per loro, di fatto, come i dinosauri, si sono estinti? E quando, per miracolo, riuscite a trovare un minuscolo quantitativo di lana, comunque non siamo mai in presenza di capi realizzati al 100% con questo filato con tutte le conseguenze di “riciclo impossibile” che ne conseguono.
Qualcuno deve avere pensato anche a questo e infatti Rifò, azienda fondata nel 2017 da Niccolò Cipriani e Daniele Ceni, grazie al crowdfunding di Ulule, lavora con filati naturali come la lana, il cachemire, il cotone e la seta, tutti rigenerati. L’azienda si trova nel distretto storico di Prato e noi di Gaiazoe abbiamo intervistato Niccolò Cipriani:
Quando e come ti sei avvicinato alla sostenibilità e perché hai deciso di fondare Rifò?
Mi sono avvicinato alla sostenibilità quando avevo venti anni e avevo deciso di fare un’esperienza di volontariato in Tanzania, là effettivamente mi ero accorto che c’era qualcosa che non tornava nel nostro sistema, noi con gli armadi pieni di vestiti e loro che non riuscivano a comprarne uno. Ho deciso di fondare Rifò 7 anni dopo quando mi sono accorto dopo un’esperienza di lavoro in Vietnam che c’era un grosso problema di sovrapproduzione, enormi quantità di vestiti che vengono buttati via perché non venduti e che finiscono poi in una discarica o inceneritore.
Come ti è venuta in mente l’idea del crowdfounding?
Volevo trovare un modo veloce di testare la mia idea e il prodotto che avevo in mente vendendolo e allo stesso tempo non esponendomi troppo finanziariamente.
Sono trascorsi 5 anni da quando hai lanciato il crowdfunding: le cose sono andate come ti aspettavi o diversamente?
Sono andate come mi aspettavo fortunatamente.
Che tipo di valori ti animano a livello aziendale, a parte la visione della sostenibilità?
Sicuramente quelli di qualità e responsabilità. Qualità intesa come fare un prodotto realizzato per durare e che sia fatto da mani esperte che tramandano una tradizione. Responsabilità invece per noi è creare dei progetti di impatto sociale così da allargare i benefici della nostra produzione sul nostro territorio.
Perché Rifò è diverso rispetto ad altri brand?
Penso che ci differenziamo da altri brand perchè facciamo economia circolare ma allo stesso tempo siamo attaccati a una tradizione, al nostro territorio e poi lo facciamo credendo fino in fondo nei nostri valori e li mettiamo davanti a qualsiasi scelta di business.
Credi che si possa fare veramente qualcosa per il nostro Pianeta?
Si, penso che ognuno nel suo piccolo possa contribuire a rendere questo pianeta più sostenibile e longevo.
Quali sono le caratteristiche dei capi Rifò?
I nostri capi si distinguono per essere almeno al 50% rigenerati, sono rigenerabili in futuro e sono realizzati a km0, nel distretto tessile di Prato.
Quanto conta la parte di stile?
Lo stile è importante e per noi lo sta diventando sempre di più, stiamo sempre più dedicando risorse affinchè sia distinguibile uno stile Rifò.
Come si compone il vostro target?
Il nostro target di riferimento è composto da persone che oscillano tra i 25 ai 40 anni interessate alla sostenibilità, alla nutrizione e agli sport all’aria aperta.
Hai pensato subito alla certificazione B Corporation o è subentrata come idea in un secondo momento?
Sin dall’inizio l’idea era quella di impostare l’azienda per diventare B Corp, diventare un’azienda che oltre al profitto persegue un impatto positivo sulla società e sul pianeta.
Se un imprenditore oggi ti chiedesse consigli proprio sul fatto di essere una B Corp, cosa gli diresti?
Gli direi che oggi è imprescindibile pensare di fare azienda senza considerare la sostenibilità, è quello che la clientela vuole, e essere B Corp aiuta a comunicarlo e a certificarlo.
Sei sostenibile solo in azienda o hai una vita sostenibile anche fuori?
Penso di essere sostenibile anche fuori, mi piace mantenere gli spazi verdi puliti (faccio plogging ogni volta che vado in montagna) e cerco il più possibile di minimizzare il mio armadio.