Al dunque dovremo pure arrivarci. Indispensabile e urgente inquadrare chi realmente fa della sostenibilità un valore e chi invece pensa solo a rinfrescarsi l’immagine cavalcando la tendenza di un termine oramai inflazionato. L’agenda del 2030 è alle porte, istituzioni e governi si preparano per la transizione ecologica.
E la moda a che punto è?
Si dice che, per sapere in anteprima la palette della prossima stagione basta dare un’occhiata al colore dei fiumi Indiani. E non è una battuta, le tinture sono quelle che maggiormente impattano sull’ambiente. Stiamo però assistendo ad un timido cambiamento di passo nell’industria del fashion, ma la sensazione è che la svolta debba, ancora una volta, iniziare dal basso e a una nuova domanda dovrà per forza seguire un’offerta adeguata. Per questo motivo non abbiamo intervistato uno dei tanti amministratori delegati di maison e griffe, ma abbiamo preferito chiacchierare con due autorevoli voci del sistema, Elena Muserra De Luca, da tempo tra le più accreditate PR del settore e Arianna Chieli, giornalista, infulencer e oggi anche content creator. Dalla loro esperienza personale abbiamo capito che la sostenibilità è una questione di incontri fortuiti, fatali, quelli che capitano una volta nella vita e te la cambiano. Nel loro racconto colpiscono i tanti punti in comune. Sia Elena che Arianna ci tengono subito a precisare che non sono talebane, i fondamentalismi celano ipocrisia e non portano a nulla di concreto. A entrambe piacciono i bei vestiti e non disdegnano le grandi firme.
Elena inizia il suo percorso professionale nel mainstream lavorando per le più importanti agenzie di relazioni pubbliche quando incontra un ex compagno di liceo di suo marito, è Nicolas Bargi che in quel momento stava lanciando Save The Duck, fabbrica di piumini che non utilizza piume animali. Si apre una finestra su un mondo parallelo che abbraccerà definitivamente quando, di ritorno da Pitti, conosce Javier
Goyeneche. È il momento della svolta, Ecoalf rappresenta per lei la consapevolezza di nuove scelte professionali allineate a un approccio rispettoso nei confronti della natura.
“Per me Ecoafl è ancora oggi strumento per conoscere sempre più a fondo gli aspetti della sostenibilità che va affrontata a piccoli passi, gradualmente con una convinzione crescente. Non è facile, sarà come fondare una nuova industria, si dovranno formare le risorse e raggiungere nuovi break even, dovremo liberarci da antichi retaggi che identificano il riciclato con il bruttino. Non è più così, sviluppo e ricerca ci stano portando verso nuove consapevolezze estetiche, gli investimenti dovranno essere sempre più consistenti per raggiungere quel look and feel che convinca e per far si che le scelte sostenibili non siano solo sinonimo di costi elevati. Quando compreremo una cosa e ci accorgeremo che è anche sostenibile e per questo ci piacerà ancora di più, avremo raggiunto un grande obiettivo”.
Anche Arianna inizia nel mainstream seguendo con le telecamere le sfilate durante le fashion week, esploratrice dei nuovi media e della tecnologia digitale, da giornalista si evolve naturalmente in influencer ed è oggi considerata una delle più credibili content creator. Lavora nell’ambito da anni ma dentro di lei c’è sempre stato quel sottile disagio. Si chiede se ci sia qualcosa di sbagliato nel doversi mostrare ogni volta con un vestito diverso. Chi faceva il suo lavoro non si presentava mai in pubblico con lo stesso outfit. Un continuo alimentare quel consumo atavico di capi. Ma gli occhi si aprono quando entra in contatto con Bivio Milano, ed è per lei il tempo di cambiare registro. Qui si portano i propri capi che non si indossano più e si acquistano quelli dismessi da altri, un second hand che rimette in circolo con effetto immediato, ciò che oggi si definisce Preloved o circular fashion.
“Abbiamo tanta merce in circolazione da utilizzare, attraverso il riuso e il riciclo, per i prossimi vent’anni. Capisco che questo al mercato possa non piacere. Ma se si deve produrre meglio farlo consapevolmente utilizzando ad esempio l’upcycling prendendo cose che già esistono e trasformandole in qualcos’altro, la tecnologia in questo ci aiuta. Dobbiamo avere il coraggio di prendere le distanze dalla moda cosiddetta accessibile, per certi versi e fino a un certo punto, il fatto che vestirsi seguendo le tendenze sia diventato approcciabile non è un male, ma alla fine ci siamo cascati, abbiamo riempito i vuoti relativi alla percezione della felicità e della bellezza con t-shirt da 2 euro”.
Per entrambe le cose sono decisamente peggiorate con l’avvento del fast fashion, la moda veloce da loro considerata una democrazia che inquina il mondo. Invitano a riflettere, l’entusiasmo nell’abbattimento delle discriminazioni sociali ha annebbiato la vista a tal punto da non considerare ciò che sta dietro a un capo da 5 euro. Lo sfruttamento di risorse sottopagate e il lavoro minorile di bambini che cuciono per 18
ore al giorno perché hanno le dita piccole e agili, sono aspetti che devono spingere l’individuo a chiedersi se la felicità e l’appagamento personale possano andare d’accordo con tutto questo.
È giusto porre in atto un processo decisionale che attraverso un acquisto metta in condizioni di svantaggio così tante persone?
Il cambiamento di uno stile di vita non è stato per loro l’accettazione di un compromesso ma una decisione presa pensando anche al futuro dei loro figli e delle nuove generazioni. Quasi una liberazione. Questo non significa non vestirsi bene, oggi il vestito ecosostenibile non è più un sacco di juta legato in vita, anche se questo sentire è ancora radicato nell’immaginario collettivo. Certo, professionalmente sia per Elena che per Arianna certe scelte hanno comportato la perdita di alcune opportunità soprattutto di fronte alle richieste di brand che di etico avevano poco o niente. Ma in questo caso è giusto che a vincere sia la coerenza con certi valori. A questo punto si continua su due binari paralleli. È qui che emergono posizioni differenti. Per Elena millenials e gen Z non sono propensi al cambiamento. Gli studenti delle accademie e degli istituti dove insegna vogliono avere una propria collezione ma non considerano la sostenibilità come strada percorribile.
“Il movimento di Greta Thumberg, veicola grandi idee e grandi messaggi ma i giovani desiderano prodotti firmati. Guardano cosa indossa il rapper, il trapper o la Ferragni, e questi fanno parte di un sistema che veicola messaggi ben precisi. In questo contesto è difficile attuare il cambiamento. E dobbiamo considerare inoltre che sempre più frequentemente la famiglia non rappresenta un punto di riferimento e demanda l’educazione dei figli alle istituzioni che hanno come unico compito quello di insegnare”.
Arianna invece ci crede fermamente perché dal suo osservatorio i segnali danno speranza, non ne fa una questione culturale ma di predisposizione.
“Per fare un esempio, i giovani hanno assimilato il concetto sul quale si sviluppo il modello dello sharing, non si acquista per tenere per sempre. Amano il vintage e il capo di seconda mano, c’è ancora molto da lavorare in questo senso ma nelle nuove generazioni io ci credo e noto una certa attenzione crescente all’ambiente. È il sistema a non essere pronto ma quando la direzione sarà ben definita sono convinta che non faremo fatica a raggiungere traguardi”.
4 commenti
Grazie, un articolo che offre spunti di riflessione puntuale e aperta!
Grazie per il suo prezioso feedback
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