CHIARA BONI La Petite Robe è il brand di moda nato nel 2007 dal desiderio di Chiara Boni di realizzare capi di abbigliamento che fossero in grado, contemporaneamente, di esaltare la femminilità del corpo delle donne e vestire in maniera comoda e pratica. La scommessa è stata vinta, praticamente, subito, colpendo nel segno e diventando un punto di riferimento per molte clienti e celebrities. Negli anni, il brand è andato crescendo sempre in maniera costante, grazie alla vision di Chiara e del suo socio Maurizio Germanetti, tanto che da qualche tempo, il marchio ha abbracciato la sfida della sostenibilità ottenendo la prestigiosa certificazione PEF (Product Environmental Footprint) la più ambita a livello europeo e la più difficile da conseguire in ambito tessile.
Gaiazoe ha intervistato Chiara Boni
Innanzitutto, Chiara, come hai vissuto personalmente e professionalmente il periodo del lockdown dovuto al Covid 19?
Come per tutti, fino a gennaio tutto scorreva normalmente, poi, improvvisamente siamo stati catapultati in un altro mondo. Altro che quarantena, sono stati 70 giorni di stop! Comunque, anche in quel periodo, ho lavorato. Pochi giorni prima della chiusura, avevo fatto delle sperimentazioni su alcune t-shirt e siamo riusciti a partecipare un progetto di charity (Smile For Italy). Ci ha dato molta soddisfazione prendere parte a questo evento e siamo riusciti a raccogliere circa 20 mila euro. Sull’onda di questo progetto abbiamo partecipato anche Smile for Spain e Smile for Usa.
Durante il fermo da Covid, quando ero obbligata a stare in casa, ho iniziato a fare delle ricerche in rete perché volevo trovare qualche cosa da indossare in casa: qualcosa che fosse carino, ma confortevole e non eccessivo come molti capi sporty per giovani millenials. Non avendo trovato nulla ho deciso di crearli io. Ed è così che abbiamo creato anche una collezione durante il covid e che siamo riusciti a vendere negli States con successo e che venderemo anche in Italia. Negli States mi hanno già chiesto una seconda collezione di questo tipo.
Ti ha cambiata questa esperienza?
Sì, sono diventata più pigra. Lo sono sempre stata, ma adesso lo sono di più. Questa situazione ha creato un disastro, anche dal punto di vista economico e di certo ho un pensiero costante per quello che è successo a molte persone e famiglie. Ma per me, non posso lamentarmi. Ho lavorato e letto molto. Anche se mi è mancato molto poter vedere la mia nipotina,
Molti dicono che dopo il lockdown dovremmo prendere atto che il paradigma culturale ed economico è cambiato e bisognerebbe abbracciare necessariamente quello sostenibile: che ne pensi?
Mi piacerebbe molto perché le notizie che leggo e continuo a leggere, mi preoccupano non poco. Quindi, sì penso che la coscienza di molti dovrebbe cambiare, ma non è facile mettere in accordo tutti.
Che cos’è per te la sostenibilità e come la applichi nella tua azienda e alle tue collezioni?
Per me è importante sia a livello aziendale che a livello personale. L’azienda è certificata con il Pef e siamo molto orgoliosi di questo perché è una certificazione molto rigorosa. Tutti, qualsiasi cosa facciamo, la lasciamo, anche solo camminando una traccia. Tutti abbiamo un impatto. Per questo è importante, nel lavoro che faccio, conoscere veramente la filiera. Fare abiti seguendo solo alcuni elementi non è completamente sostenibile, infatti, molte aziende realizzano solo capsule sostenibili. Noi, invece, abbiamo una filiera sostenibile e con la certificazione Pef sappiamo che tipo di impatto abbiamo perché misura quanto carbonio emettiamo, il consumo dell’acqua e di energia. E poi abbiamo partner sostenibili come Eurojersey, anch’essa certificata. Anche le tinture dei tessuti sono super controllate. Con quest’ultima abbiamo realizzatoMeasuring For a Sustainable Future una iniziativa che ci ha consentito di misurare concretamente il nostro impatto.
A cosa stai lavorando adesso?
Stiamo lavorando a una collezione mare, perché dopo essere stati chiusi in casa così a lungo, adesso, tutti sognano di andare al mare. (Intervista di Viviana Musumeci)