“Sono fatta così” è una delle frasi che ritorna più spesso nel testo della bellissima canzone di Irene Grandi “Finalmente io”, il racconto di una donna che riesce a essere libera al di là delle convenzioni sociali; bellissima, per carità, ma spesso dietro questa frase, nella realtà, si nasconde l’alibi del “sono fatto/fatta così e non posso cambiare o non cambio” laddove il “non posso” sottolinea una volontà e scelta espressa in maniera passiva, mentre il “non cambio” evidenzia una scelta manifesta e attiva.
La domanda che sorge spontanea davanti a tanta determinazione è:
chi lo dice che non si può cambiare?
Il sustainable thinking ci aiuta a trovare la risposta, sempre la stessa nel nostro cervello
Come ricordo sempre anche nei podcast, la nostra mente è condizionata dall’educazione che abbiamo ricevuto, dall’imprinting seguito in primis in famiglia e poi, in seguito dalla società e l’idea di non cambiare è un assunto che la nostra società fa passare per un merito, quello di avere carattere e quindi personalità.
Non c’è nulla di meno veritiero ( quando siamo condizionati, non esprimiamo il nostro carattere),in questa affermazione o convinzione che si radica sempre di più, mano a mano che passa il tempo e non c’è nulla di più triste che sentire persone anziane asserire che, dato che sono arrivate alla loro veneranda età, adesso si possono permettere di pensare, dire e fare ciò che preferiscono, come a sottolineare che invece, prima non sia stato loro possibile farlo.
Se ci pensiamo è triste perché sottolinea benissimo come le persone si impongano da sole (anche se lo ascrivono a situazioni esterne) comportamenti e pensieri che non sono sovrascrivibili alla loro vera personalità e vivono gran parte della vita nell’attesa del futuro, ovvero dell’anzianità, quando potranno essere libere (immaginate se una persona vive la sua vita in questo modo e poi non invecchia: praticamente spreca un’occasione immensa, ovvero quella di vivere secondo il proprio talento, la propria essenza, la propria volontà)
Ma come si può uscire da questo incantesimo o meccanismo che alla fine ci distrugge un po’ alla volta?
La risposta, anche qui, è sempre la stessa: lavorando sul cervello e cambiando le abitudini
Per molto tempo si è pensato che per cambiare un comportamento sbagliato bastasse impegnarsi nel cambiare abitudini per circa 21 giorni. Ancora oggi, molti pacchetti venduti dai vari guru della crescita personale, promettono cambiamenti in soli 21 giorni. In realtà, si tratta di un errore: come dimostrato da uno studio riportato nella rivista European Journal of Social Psychology, 21 giorni ( o 22 per Robin Sharma), rappresentano solo la prima fase del cambiamento, ergo, se dopo 21 giorni si interrompe il processo, si rischia di retrocedere e non raggiungere l’obiettivo finale. I giorni per far si che una nuova abitudine insorga (quindi a discapito di quelle vecchie e negative) sono 66.
Ecco perché spesso le persone falliscono nel portare a termine delle diete (innanzitutto una dieta non dovrebbe essere dimagrante, ma uno stile di vita alimentare, quindi, al massimo i 66 giorni non servono a dimagrire, bensì ad acquisire uno stile virtuoso e la perdita di peso rappresenta, semmai, una conseguenza o effetto secondario);o perché non si riesce a smettere di fumare.
Non si dà, di fatto, la posssibilità al nostro cervello di assimilare la nuova abitudine.
Ma la buona notizia è che conoscendo questo dettaglio, ovvero la necessità del cervello di azionare alcuni meccanismi (anche di tipo chimico) che si trasformano, per noi che le percepiamo, in emozioni, possiamo mettere in atto nella nostra vita, qualunque tipo di cambiamento, senza timore di non farcela.
Buona consapevolezza a tutti! (Viviana Musumeci per Gaiazoe.life*)